lunedì 20 dicembre 2010

Il supermicroscopio che fa nuova luce sulle malattie renali

I reni contengono unità funzionali chiamate glomeruli, ammassi di capillari caratterizzati da pareti perforate da pori attraverso cui vengono eliminate le sostanze tossiche e i prodotti di scarto del sangue. I glomeruli hanno anche la funzione di trattenere molecole utili all’organismo, come le proteine. In condizioni di malattia il rene perde la sua capacità filtrante con la conseguente perdita di proteine rilevabili poi nelle urine (proteinuria). In uno studio condotto dalla Unità di Microscopia Avanzata dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, presso il KilometroRosso di Bergamo, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Journal of American Society of Nephrology (2010 Dec;21(12):2081-9) dal titolo “New imaging of the glomerular epithelial filtration slit by scanning electron microscopy - pores ultrastructure in physiological and proteinuric pathological conditions”, grazie all’impiego di un microscopio elettronico a scansione (SEM) di ultima generazione abbiamo fatto luce su come i pori del filtro renale sono distribuiti in condizioni fisiologiche e patologiche. 
L’analisi di campioni biologici al SEM tradizionale fornisce immagini tridimensionali della superficie del campione con il grosso vantaggio di dare un’idea dell’organizzazione delle strutture molto fedele alla realtà. Le immagini al SEM vengono ottenute grazie a un fascio di elettroni che colpiscono il campione e che vengono poi “rimbalzati” (elettroni secondari) e rilevati da un detector e successivamente convertiti in impulsi elettrici. Questi impulsi vengono infine trasformati in un’immagine topografica. Il campione deve essere ricoperto da un sottile strato di metallo per renderlo conduttivo e per facilitare il ritorno di segnale degli elettroni. 
I SEM tradizionali hanno tuttavia un limite, difatti riescono a rilevare informazioni solo dalle aree più superficiali del campione, mentre gli elettroni che raggiungono le zone più profonde, anche se “rimbalzano” sul campione, vengono persi perché non riescono ad essere intercettati dal detector e con loro vengono perse tutte le informazioni strutturali ad essi associate. Le strutture di nostro interesse, i pori di filtrazione, sono profonde e quindi con questo approccio convenzionale non sono visibili.

Abbiamo superato questo limite utilizzando un SEM di ultima generazione (Cross-Beam Supra con colonna Gemini, Carl Zeiss, Oberkochen, Germania) che ha il grosso vantaggio di utilizzare l’innovativo detector in-lens, posizionato a una distanza molto ravvicinata dal campione che consente di raccogliere con un’altissima efficienza anche gli elettroni più profondi che normalmente vengono persi, fornendo così molte più informazioni rispetto ad un detector convenzionale. La Figura mostra un campione renale osservato al SEM a diversi ingrandimenti. L’unità di filtrazione renale, il glomerulo, che si osserva nel pannello a, è visibile a dettagli sempre più fini passando ad ingrandimenti sempre maggiori (pannelli b e c) fino ad arrivare all’ingrandimento massimo che ci ha consentito di vedere i pori di filtrazione osservabili nel pannello d. 
L’osservazione di queste strutture, mai descritte prima, ci ha spinto a voler investigare come questi pori si distribuiscono lungo la superficie filtrante e a descrivere la loro dimensione sia quando la funzione renale è ottimale sia quando è compromessa. Abbiamo quantificato la dimensione dei pori attraverso un metodo morfometrico utilizzando un programma informatico di analisi di immagini (Image J 1.43). Il dato interessante è stato scoprire in condizioni patologiche associate a proteinuria la comparsa di una popolazione di pori con dimensioni sproporzionatamente più grandi rispetto a quelli osservati in condizione fisiologica. Noi riteniamo che questi pori, eccezionalmente grandi, potrebbero avere un ruolo nel processo patologico permettendo un passaggio anomalo delle proteine che, una volta filtrate, si rilevano poi nelle urine.
Le nostre osservazioni, ottenute grazie ad una tecnologia sofisticata e innovativa, contribuiscono ad aumentare, in maniera consistente, le conoscenze sull’ultrastruttura dei pori di filtrazione, finora solo ipotizzata attraverso studi teorici, suggerendo una visione diversa da quella finora descritta. Questo approccio tecnologico ci ha inoltre permesso di rilevare una differenza nelle dimensioni dei pori in condizione patologica rispetto a quella fisiologica suggerendo che le alterazioni nella dimensione dei pori di filtrazione possano avere un ruolo nelle malattie renali favorendo un aumento nella filtrazione delle proteine plasmatiche.



Articolo tratto da IlSussidiario.net



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