giovedì 21 ottobre 2010

TRE ALFABETI: I GIAPPONESI COME FANNO A CAPIRSI?

La vera difficoltà per vivere in Giappone è la comunicazione, proprio per la lingua nipponica (nihongo). Un conto è parlarla, altro è scriverla.
Fatico tutti i giorni a cercare d’interpretare messaggi stradali e pubblicitari. Per mia consolazione, capita anche che gli stessi abitanti del “sol levante” (nihonjin) non capiscano bene certe scritte!
Al di là della conoscenza dei simboli, l’interpretazione è resa difficile dall’arte della scrittura ornamentale (zattaisho) ancora oggi viva. Dal 500 d.C. si sviluppa in oltre cento stili e complicazioni indescrivibili.
Tutto questo nasce da ben tre alfabeti: due “kana” (hiragana e katakana: quest’ultimo usato spesso per parole straniere), ambedue fonetici, con 174 simboli originati per semplificazione di scrittura nel periodo “heian” (794-1185) e il “kanji”, con oltre 25mila ideogrammi di origine cinese, con cui nel 400 d.C. si è iniziato a trascrivere l’antica lingua nipponica (jodai-nihongo).
Nelle scuole elementari (shogakkou) e medie (chugakkou) s’imparano gli alfabeti fonetici e circa 1000 kanji; tra le scuole superiori (kokou) e l’universita’ (daigaku) si acquisiscono fino a 2500-3000 kanji.
Su questa base di alfabeti, già complicata, normalmente i giapponesi scrivono frasi e parole mischiandole, senza interruzione e senza punteggiatura; la scrittura può andare indifferentemente dall’alto verso il basso da destra a sinistra, oppure, come la nostra, da sinistra a destra. A volte, le scritte sono anche in lettere latine (romaji).
Non è tutto! Realmente, oltre agli innumerevoli dialetti (hogen) delle varie province (per esempio, il dialetto di Tokyo è il “Tokyo-ben”- “ben” significa dialetto) e delle varie isole (ryukyu: che è anche l’antico nome di Okinawa), esiste il linguaggio del rispetto (keigo) che si articola in tre lingue: di cortesia (teineigo), referenziale (sonkeigo) e della modestia (kenjogo).
Ma le difficoltà non sono finite! Ogni linguaggio è diverso se parlato da una donna (onnarashii) o da un uomo (otokorashii); il primo, più elevato, utilizza forme più cortesi con un vocabolario proprio femminile; il secondo, di livello più basso, impiega forme prettamente maschili.
Nel 1650 circa, a Nagasaki, questa lingua fu descritta, dal missionario gesuita Francesco Saverio, come molto complessa, sorprendentemente ampia di sfumature e significati.
Malgrado tutto, quella giapponese non è mai stata dichiarata lingua ufficiale, pur essendo scritti, nelle lingua corrente, gli atti di rilevanza giuridica, dalla legge ai documenti ufficiali.
Credo che adesso si riesca a capire perché non tutti i giapponesi possono leggere giornali, leggi e vari importanti atti, se non hanno un livello di cultura universitaria.
Questa lingua è oggi in continua evoluzione per il suo adeguamento ai tempi della crescente globalizzazione, trovando nuove parole ed espressioni nel japognol, nel franponais e nell’inglese (eigo).
La gente, pur schiva nel parlare con estranei, subisce una pressante azione di comunicazione. La pubblicità di ogni tipo, non sempre comprensibile, è martellante; la radio (che si ascolta spesso in auto) e la tv hanno varie stazioni nazionali e centinaia di canali commerciali; le buche per la posta sono quotidianamente intasate da volantini, dépliant e stampati vari pubblicitari spesso di tipo alimentare. Ogni negozio, rivendita, clinica, ospedale, tempio, ristorante, hotel etc. ha la propria pubblicità e persino biglietti da visita (meishi). I giornali (shinbun) nati dal 1600 d.C., nazionali e locali, sono oltre 200 e stampano quotidianamente 53 milioni di copie circa (dati 2009) solo nell’edizione del mattino.
Nella comunicazione, sorprende sempre più il telefonino (keitai), utile per fare di tutto! Pagare ogni acquisto, usarlo come navigatore satellitare, oltre che comunicare per sms e e-mail e, via internet, per ricercare ogni cosa quotidiana, usarlo come contapassi o come fonometro, insomma per ogni cosa possibile e immaginabile. Ha tuttora un limite; non riesce a fare il caffè!
Una cosa importante è che viene usato con grande parsimonia e attenzione nelle comunicazioni vocali, sia nei luoghi pubblici e privati (bar, ristoranti, hotel, bus, treni, uffici vari etc.) sia all’aperto (strade, giardini, parchi, zoo, etc.). Non certo per il costo. Solo rispetto degli altri.

Articolo tratto da Piuvoce.net

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