venerdì 30 dicembre 2011

Zeitgeist 2011, la fotografia di un anno

Il 2011 visto da Google è una fotografia a tinte chiare sugli avvenimenti che hanno cambiato il mondo e le abitudini del Web. Quello che il famoso motore statunitense chiama lo Zeitgeist 2011, dalla parola tedesca che significa lo spirito dei tempi. Non è altro che il riflesso di quello che gli utenti hanno pensato e cercato durante l’anno che volge al termine. Un’annata da ricordare per le proteste arabe, per il terremoto in Giappone, per la morte di Marco Simoncelli e di Steve Jobs. Eventi dolorosi e inattesi che hanno segnato l’opinione pubblica. Viene fuori l’immagine di un’Italia e di un mondo in generale stretti tra la paura e la voglia di un riscatto sociale e politico.
Nella consueta top ten delle persone più cercate in casa nostra, c’è il pilota romagnolo morto lo scorso 23 ottobre, Lamberto Sposini, giornalista colpito da un ictus nei primi mesi dell’anno. Non manca Gheddafi con la sua morte in diretta.
In cima alla sezione news troviamo il delitto Rea e poi via via a scendere tutti i nomi che hanno avuto un ruolo di primo piano in tv: Yara Gambirasio, Sarah Scazzi.
Viene fuori un Paese quasi combattuto tra il desiderio di trovare nuovi slanci, altri diversivi alla rigida quotidianità e la necessità di tenere sotto controllo il mondo che sta attorno. Ecco perché la cronaca, gli eventi catastrofici (Fukushima) diventano uno strumento da osservare per esorcizzare la paura e l’ansia del domani.
Tra le ricerche del motore di ricerca, non mancano le curiosità e le innovazioni tecnologiche che sono il simbolo del nostro tempo. Naturalmente tutto ciò ha  a che fare con Steve Jobs: i nuovi modelli dell’iPhone e l’ultimo Tablet.
Ci sono anche le guide sul come fare: al primo posto della top ten si è la piazzata la ricerca su come realizzare uno “screenshot”, cioè il risultato della cattura di ciò che è visualizzato sul monitor del computer. In seconda posizione, è stato cliccato come fare “soldi”. L’ultimo gradino è, invece, occupato dalla guida su come fare “fiocchi”.
Google riserva uno spazio anche alla musica con la lista dei brani più seguiti e ascoltati.  Nel top ten il primo posto spetta a Laura Pausini, icona della musica italiana.
C’è anche spazio per le emozioni virtuali con le ricerche “ho paura di” e “ho sognato di”. C’è persino una sezione per i film più cliccati: i gradini del podio sono occupato da Fast&Furious, Il Grinta e Final Destination 5.
Ovviamente Google ci dice solo una buona fetta delle nostre abitudini e il target di riferimento è una popolazione discretamente giovane, ma non mancano gli spunti interessanti legati agli usi e costumi di un popolo. Come la ricerca dei cibi da mettere a tavola. Alla prima posizione c’è la cheesecake, seguita dalla pasta di zucchero, dal risotto con asparagi. Ci sono anche cibi non italiani (cupcakes, macarons, couscous) che mostrano segnali di apertura verso altre culture culinarie.
Ci lasciamo alle spalle un anno di grandi cambiamenti, come le rivoluzioni arabe, in zone del mondo poco inclini alla democrazia, e alla vittoria della libertà nell’Indipendenza del Sudan.
È stato l’anno dell’uccisione di Osama Bin Laden, dopo un inseguimento lungo più di un decennio. Un anno gravato da una pesante crisi economica, dalla Grecia al nostre Paese, passando per buona parte dell’Europa. Non a caso le parole più cercate sono quelle legate alla crisi: spread, default. Un anno che passa per un altro che sta arrivando, perché il tempo e la storia proseguono nel loro corso mobile e perpetuo.
Quali sono stati gli eventi del 2011 che vi hanno colpito di più? Quali parole avete digitato maggiormente?
In fondo dietro ogni battito di tastiera c’è sempre qualcuno che digita  e scrive. Quel qualcuno siamo noi che daremo slancio e vitalità al nuovo anno perché la nostra “ricerca” non è ancora finita.
Buon 2012!
by PUELLA STULTA
Articolo già pubblicato su Cogitoetvolo

lunedì 26 dicembre 2011

AUGURI!

TANTISSIMI AUGURI DI BUON NATALE


Ecco le parole al Santo Padre, che le ha pronunciate lo scorso 7 dicembre, prima di accendere le luci di un enorme albero di Natale che hanno realizzato a Gubbio:
"Prima di accendere le luci dell’Albero, vorrei fare un triplice, semplice augurio (...). Guardandolo, il nostro sguardo è spinto in modo naturale verso l’alto, verso il Cielo, verso il mondo di Dio. Il primo augurio, allora, è che il nostro sguardo, quello della mente e del cuore, non si fermi solamente all’orizzonte di questo nostro mondo, alle cose materiali, ma sia un po’ come questo albero, sappia tendere verso l’alto, sappia rivolgersi a Dio. Lui mai ci dimentica, ma chiede che anche noi non ci dimentichiamo di Lui!".

"Il Vangelo ci dice che nella notte del santo Natale una luce avvolse i pastori (cfr Lc 2,9-11) annunciando loro una grande gioia: la nascita di Gesù, di Colui che viene a portare luce, anzi di Colui che è la luce vera che illumina ogni uomo (cfr Gv 1,9). Il grande albero che tra poco accenderò (...) illuminerà con la sua luce il buio della notte".

"Il secondo augurio è che esso ricordi come anche noi abbiamo bisogno di una luce che illumini il cammino della nostra vita e ci dia speranza, specialmente in questo nostro tempo in cui sentiamo in modo particolare il peso delle difficoltà, dei problemi, delle sofferenze, e un velo di tenebra sembra avvolgerci. Ma quale luce è capace di illuminare veramente il nostro cuore e donarci una speranza ferma, sicura? E’ proprio il Bambino che contempliamo nel santo Natale, in una semplice e povera grotta, perché è il Signore che si fa vicino a ciascuno di noi e chiede che lo accogliamo nuovamente nella nostra vita, chiede di volergli bene, di avere fiducia in Lui, di sentire che è presente, ci accompagna, ci sostiene, ci aiuta".

"Ma questo grande Albero è formato da tante luci. L’ultimo augurio che vorrei rivolgere è che ciascuno di noi sappia portare un po’ di luce negli ambienti in cui vive: in famiglia, al lavoro, nel quartiere, nei Paesi, nelle Città. Ciascuno sia una luce per chi gli sta accanto; esca dall’egoismo che spesso chiude il cuore e spinge a pensare solo a se stessi; doni un po’ di attenzione all’altro, un po’ di amore. Ogni piccolo gesto di bontà è come una luce di questo grande Albero: insieme alle altre luci è capace di illuminare l’oscurità della notte, anche quella più buia".

martedì 20 dicembre 2011

Attendere


Attende la mamma il suo bambino nella lunga gestazione, attende il ragazzo la sua ragazza all’uscita dalla scuola, attende il giovane l’esito dell’ennesimo colloquio di lavoro, attendono i genitori che cigoli la porta di casa alle cinque del mattino per tirare un sospiro di sollievo, attende il bambino il sorriso del papà al suo ritorno da scuola, attendono gli immigrati il permesso di soggiorno in fila fin dalle prime luci del mattino.
Non è attesa invece quella del terrorista che ha già la mano sulla cintura esplosiva o sul telecomando del detonatore, non è attesa quella del pedofilo che sta tirando le maglie dei suoi ricatti, non è attesa la lunga coda di automobili che dobbiamo subire ogni giorno per andare e tornare dal lavoro; non è attesa l’aria greve che prende la piazza per l’arrivo dello spacciatore.
È attesa la tensione verso la vita, quella degli altri, la mia, quella del mondo; non è attesa tutta quella percezione o orientamento alla morte che spesso abita le nostre esistenze.
Verso chi è orientata l’attesa? Perché l’attesa ha la capacità di tirarti dentro tutto, di ridefinire la tua stessa identità, di farti crescere e di rimodulare la tua esistenza su quello che attendi. È una forza potente per concentrare energie, per dare organicità ai molteplici impulsi, per canalizzare le qualità. Chi non aspetta niente, perde l’entusiasmo del vivere; si sente come un pacco postale: già tutto è deciso, niente di nuovo, tutto ritorna come sempre.
Avvento è il tempo di attesa e di preparazione al Natale, è diventato il tempo dei regali, degli ingorghi di traffico nelle città, spesso degli scioperi, sicuramente dei mercatini e dei consumi. Complice la fine dell’anno, il freddo inverno, la vacanza dalla scuola, la necessità di fare l’inventario in ogni luogo di stoccaggio delle merci, la riscossione della tredicesima, laddove ancora non è scomparsa a causa della precarietà. Complice anche una serie di sentimenti tenui che si sviluppano per tradizione verso i bambini che diventano oggetto di regali, di giocattoli, che assumono il senso spesso del potersi far perdonare la trascuratezza abituale nei loro confronti o verso i genitori o i nonni per cancellare qualche cattiva coscienza di abbandono o per significare un minimo di gratitudine. Per rispondere a queste complicità l’industria del consumo si è attrezzata al massimo. Non c’è un altro momento di origine religiosa che sia stato così ben sfruttato ai livelli commerciali quanto il Natale. Le tradizioni nate da significati religiosi profondi sono a poco a poco diventate vere e proprie operazioni commerciali, tanto che oggi l’unico che viene dimenticato in questo incrocio di regali è proprio il festeggiato. È il classico caso in cui il consumo ha scippato il significato fondamentale della festa. L’attesa allora diventa soltanto fare la spesa: di regali, di emozioni, di buoni sentimenti.
Invece noi, come quei pastori possiamo ancora commuoverci davanti a quell’insignificante bambino e come loro “andiamo, vediamo, conosciamo.. “andarono, trovarono, videro, si stupirono, tornarono, glorificavano e lodavano. Come sempre le cose più importanti sono invisibili agli occhi. Sono verbi da coniugare per dare sapore alla nostra vita, perché in quella notte, in questa notte noi possiamo scoprire il sole. Le mille luci delle nostre case sono solo la strada per arrivare al sole. Le luci si spegneranno, ma ci porteremo via il sole che non perderemo più.

Articolo tratto da Dimensioni Nuove

lunedì 28 novembre 2011

Ronna Vaughn: incinta in terza media

"Il giorno dopo Natale dissi a mia madre che dovevo parlarle. Stava cucinando la cena e mi disse che non aveva tempo. Le dissi, "No, Mamma, dobbiamo parlare ora. Devi sederti." Fu quello il momento in cui le dissi che pensavo di essere incinta. Ero in terza media."
Questo è l'inizio della storia che voglio raccontarti oggi e la protagonista è Ronna Vaughn. Sei curioso di sapere cosa è successo a Ronna e al suo bambino? Cosa le ha consigliato la madre e cosa ha fatto il padre del bambino?
Ho scelto questa storia tra tante altre, perché credo rappresenti qualcosa di molto attuale, una situazione che potrebbe presentarsi anche qui in Italia e forse qualche giovane che sta leggendo ha vissuto qualcosa di simile. Ho deciso di raccontare la vita di Ronna anche per un altro motivo, per la sua inattualità. Lei, infatti, ha fatto qualcosa che probabilmente non ti aspetti, anzi ha fatto molto di più...
Ecco come continua la storia... Buona lettura!
"La sua prima domanda (quella della mamma si intende, mentre erano ancora sedute una di fronte all'altra) fu di chi era. Poi disse, "Non importa, lo so chi è". Lasciò la stanza e non mi disse altro al riguardo per alcuni giorni.
Andammo dal dottore qualche giorno dopo. Ero incinta di tre mesi. (...) Quando il dottore ci disse che ero incinta, mi misi a piangere all'improvviso. Mia madre fece lo stesso. Fu terribile.
Lo raccontai al mio ragazzo e lui mi disse che ci sarebbe stato per il bambino - non importava cosa sarebbe successo tra noi due.
Due settimane più tardi venni a sapere che anche la mia migliore amica era incinta del mio ragazzo. Lui non negò. Piansi tutte le notti. Ero davvero a pezzi.
Non avevo mai pensato che l'aborto potesse essere la soluzione giusta da fare. I miei genitori erano divorziati e quando io e mia mamma andammo da mio papà per dirgli che ero incinta, la sua prima parola fu aborto. Disse che avrebbe pagato lui. Mia madre voleva lo stesso. In segno di rispetto, ci pensai. Ma dissi loro che non potevo. (...)
Andai a scuola fino alle ultime sei settimane. (...)
A quel tempo - all'ottavo mese - i miei nonni erano stati male e avevano bisogno di qualcuno che si prendesse cura di loro. Mia madre comprò una casa accanto alla loro per esserli vicina.
Sono stata contenta di trasferirmi. Il mio ragazzo abitava proprio dall'altra parte della strada. Prima di rimanere incinta eravamo insieme tutto il tempo. Ma adesso mi evitava.
Mentre stavo facendo una doccia a casa dei miei nonni una sera sentii un dolore acuto. Mia nonna chiamò mia madre e lei mi portò all'ospedale subito. (...)"
Il giorno dopo (22 luglio) nacque Robbie e Ronna aveva 15 anni. Il Dipartimento di Salute Umana del Tennessee fornì a Ronna tutti gli aiuti necessari: consulenza individuale, supporto emotivo e servizi di aiuto per lei ed il bimbo, così Ronna riesce a ricominciare la scuola fin da quando Robbie ha solo un mese.
Le parole di Ronna ci fanno capire la sua situazione a quell'epoca: "Gli davo da mangiare, gli facevo il bagnetto, facevo i compiti e lo mettevo a letto - tutti i giorni. Qualche volta restavo sveglia fino all'uno o due di notte preparando bottiglie e facendo i compiti. e dovevo alzarmi alle 5:30 del mattino per prepararmi, per poi preparare Robbie, portarlo all'asilo nido, così da essere in tempo per la scuola.
Non avevo molti amici. Tutti mi conoscevano, tutti erano carini con me, ma non avevo degli amici vicini. Non volevano trascinarsi dietro un bambino.
Il mio tempo era sempre per la scuola, i compiti e Robbie. A pranzo le ragazze parlavano delle feste del fine settimana, di shopping, di trucchi, vestiti e delle attività del dopo scuola. Le ascoltavo e pensavo che non avrei mai potuto comprarmi dei nuovi vestiti come le altre ragazze. Dovevo comprare i pannolini. Non potevo comprarmi delle scarpe nuove come le altre. Robbie aveva bisogno delle scarpine."
All'ultimo anno di scuola, Ronna prende un appartamento tutto suo. Alla solita routine aveva aggiunto il lavoro in una lavanderia, dopo le lezioni. Il suo stipendio finiva ancor prima di poterlo avere in mano.
Un giorno nella sua scuola viene organizzata una sorta di settimana di autogestione, con una fiera espositiva di molte associazioni nonprofit.
Una in particolare colpisce Ronna per il loro programma chiamato STARS (Students Teaching and Respecting Sexuality).
"STARS è formata da giovani che hanno avuto figli e adolescenti che hanno scelto di astenersi dal sesso. Sapevo che in quel momento volevo iscrivermi. Se potevo prevenire ad un adolescente di dover combattere come avevo fatto io, allora ne valeva la pena.
STARS promuove l'astinenza, la castità. Parlavo con studenti delle medie e del liceo e dicevo loro i benefici del saper aspettare. Dicevo loro che avevo preso la decisione di non fare più sesso fino al matrimonio. Dicevo loro che se avevano preso la decisione di fare sesso potevano prenderne una migliore di fermarsi e aspettare. (...) li incoraggiavo a considerare le conseguenze del loro comportamento e di fare le scelte con la propria testa.
Condivido la mia storia. Racconto loro che avevo fatto la scelta di fare sesso e ho fatto la scelta di tenere Robbie, la mia responsabilità era prendermi cura di lui.
Racconto loro cosa mi chiese mia madre quando sono rimasta incinta e come ho deciso di prendermi cura del mio bambino. Le dissi "Non lo so, ma lo amo". È vero che puoi amare un bimbo - e io amo Robbie così tanto - ma non importa quanto tu possa amare il tuo bambino, l'amore non compra i pannolini, non può portare cibo su una tavola e un tetto sopra la testa del bimbo.
Racconto tutte le cose che mi sono mancate (...) cose così importanti per la vita di un giovane. (...)
Potevo facilmente rinunciare. Spesso sono così esausta. Ma Robbie mi fa andare avanti.
Ho sempre pensato che volevo fare qualcosa di buono nella mia vita, e quando ho avuto Robbie - qualcun altro per il quale essere responsabile - ho capito che dovevo dargli la migliore educazione possibile e impegnarmi più che mai. Che tipo di vita poteva avere Robbie se avessi rinunciato?
Sono stata spesso tanto arrabbiata. Volevo dare tutta la colpa la mio ragazzo. (...)
Adesso non sono più arrabbiata. Essere arrabbiati non ti fa andare da nessuna parte; non ti fa realizzare nulla. Ora penso al modo di aiutare gli altri. Sono felice se posso fare la differenza nella vita di una ragazza."
Spero che la storia di Ronna possa fare la differenza anche nella tua vita. La sua è stata una vita intensa, una vita piena di scelte che ha saputo affrontare con responsabilità, capendo che la cosa più bella e che può renderti davvero felice è avere il coraggio di donarsi agli altri.
* il testo del racconto di Ronna è tratto dal bellissimo libro Teens with the courage to give di Jakie Waldman ed è una mia personale traduzione dal testo in inglese.

Articolo tratto da Gente Nuova

mercoledì 29 giugno 2011

Informazioni per tutti, cultura per pochi

Comunicare sempre, ovunque, con chiunque: questa sembra essere una delle parole d’ordine della società contemporanea, almeno da quando, verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso, si sono affermati nuovi mezzi di comunicazione come la telefonia mobile o internet. Tuttavia, mentre il telefono cellulare è destinato principalmente alla comunicazione privata, internet ha aperto nuove, ampie possibilità anche alla comunicazione collettiva, non ultima quella di carattere culturale. Sempre più frequentemente chi vuole recuperare delle informazioni su un personaggio, un evento o su quant’altro , non consulta un’enciclopedia cartacea, ma accede a internet, digita la parola al centro del proprio interesse in un motore di ricerca, come i famosissimi Google o Yahoo!, e aspetta il risultato. Altrimenti si collega a una delle molte “enciclopedie virtuali” sorte negli ultimi anni – si pensi a Wikipedia – e compie la stessa operazione.
Oggi la maggior parte di noi ragazzi usa la rete per studiare: non solo è molto più semplice da consultare rispetto a una biblioteca, ma inoltre, grazie al “copia e incolla”, facilita l’elaborazione dei testi e velocizza i tempi di studio. I dati numerici degli utenti che frequentano siti come Google sono veramente impressionanti. Proviamo a capire come funzionano questi siti e come gestiscono le loro informazioni.
Un motore di ricerca come Google propone una lista di risultati elaborata secondo una tecnica derivata dalla bibliometria, la disciplina che studia il numero di volte in cui un testo è citato in altri testi della stessa disciplina. All’interno del proprio enorme data-base, Google crea una “classifica” rispetto all’argomento da noi cercato, stabilendo l’importanza di una pagina web sulla base del numero di altre pagine web che rimandano ad essa. La prima in classifica, dunque è la pagina web più “citata” sull’argomento da noi cercato, ma ciò non significa automaticamente che sia anche la più attendibile.
Le enciclopedie virtuali come Wikipedia, invece, si basano sulla collaborazione di utenti anonimi, che possono scrivere o correggere le singoli voci, in base a un’idea collettivistica della cultura, secondo la quale ognuno può mettere a disposizione degli altri il proprio sapere. Come dice l’introduzione: “Wikipedia è liberamente editabile: chiunque può modificare le voci esistenti o crearne di nuove.” Se da un punto di vista ideale ciò è sicuramente encomiabile, da un punto di vista scientifico non dà, tuttavia, alcuna garanzia sulla correttezza delle informazioni.
Al contrario di quanto accadeva in altre epoche, oggi, dunque, ognuno può accedere a una quantità immensa di dati. Ciò che manca a molti, però, è la capacità critica di comprendere se le informazioni ritrovate siano corrette o meno. Nella grande massa di informazioni odierne, di conseguenza, sembra essersi smarrito quello spirito critico di fronte al testo scritto che fu uno dei principali lasciti degli umanisti.
Voi che ne pensate?
Articolo già pubblicato su Cogitoetvolo.it
by Puella Stulta

martedì 21 giugno 2011

Sognando "Il Lavoro"

"L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Sono questi gli articoli 1 e 4 della Costituzione della Repubblica Italiana sul lavoro.
La seconda parte dell’art 4, purtroppo, non è riscontrabile nella realtà: il rapporto ISFOL de 2007 denuncia una situazione in cui i lavori sono sempre meno conformi alle aspettative; scarse sono le prospettive di carriera; quasi il 20% degli occupati ritiene di svolgere mansioni che utilizzano solo parzialmente le sue competenze. Una situazione davvero tragica che è aggravata anche dall’inesistenza di posti pubblici, quelli da sempre più ambiti visto che nel privato non si ha mai la certezza per quanto riguarda la durata dell’impiego e per la relativa retribuzione. A questi aspetti se ne aggiunge un altro: il lavoro “a nero”. Evasione fiscale del datore di lavoro e dell’operaio che, però, si ritrova poi una prospettiva pensionistica davvero incerta (basti pensare che è già incerta per i lavoratori nel pubblico per l’esagerato aumento dell’età pensionistica) e quindi cresce sempre di più la percentuale di chi fa fatica a crearsi una famiglia. Ci sono così i cosiddetti “bamboccioni”, tali per mancanza di lavoro. Dal rapporto ISFOL 2007 emerge anche una discrasia tra domanda e offerta di lavoro. E pensare che nell’antichità il lavoro era disprezzato e affidato agli schiavi! Aristotele, infatti, nella Politica esalta il fatto che i cittadini abbiano tutto il tempo libero “per far nascere la virtù nella loro anima e perché possano adempiere i loro doveri civici”. Un tempo c’erano gli schiavi, oggi gli extra-comunitari fanno i lavori cosiddetti “più umili” e non più adatti all’uomo del terzo millennio: lavorare i campi, ad esempio. Con questa crisi, però, anche lo “spazzacamin che allegro e felice pensieri non ha”, come cantava Mary Poppins, è un lavoro ricercato e apprezzato.
Oltre alla crisi lavorativa si aggiunge anche che non tutti i diritti del lavoratore sono rispettati. Il lavoro è la prestazione di energie da parte di un lavoratore a un datore di lavoro in cambio di una retribuzione, ma questa nel settore privato non è assolutamente adeguata e a volte non c’è. Inoltre, in particolar modo nei lavori manuali, la sicurezza è soltanto un optional: ogni anno mediamente il 6% dei lavoratori italiani è vittima di un infortunio, quasi un milione di episodi, di cui più di 1300 mortali. A causa, ad esempio, delle trasmissioni dei motori delle macchine troppo vecchie, dei ponteggi inadeguati, dell’inutilizzo di caschi e di altre norme di sicurezza. Questo comporta un risparmio per il datore di lavoro in materia di costi e anche un’agevolazione per gli operai che lavorano meglio senza guanti e caschi. Ma implica una percentuale più alta del rischio di incidenti sul lavoro. Fortunatamente, così per dire, la legislazione italiana impone al datore di lavoro l’obbligo dell’assicurazione per meglio garantire agli infortunati il pagamento delle idennità e per salvare l’imprenditore da oneri eccessivi rispetto alla sua potenzialità economica. A tale proposito sono “fortunati” gli operai messi in regola, non quelli “in nero” che addirittura si troveranno tolto il lavoro.
Cosa fare per avere una svolta in meglio nel mondo del lavoro? Il rapporto ISFOL del 2007 indica le iniziativa da intraprendere:
  • Migliorare il rapporto tra domanda e offerta di lavoro
  • Rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro attraverso una conciliazione tra competitività e meriti, ed equità dell’accesso alle opportunità
  • Contrastare il lavoro irregolare.
Da chi devono essere portate e termine queste iniziative? Alcune da noi cittadini italiani e altre da chi ha nelle mani il futuro del paese. Una sinergia fra le due parti potrà vantarsi di aver dato ai cittadini italiani un lavoro adatto alle aspettative di ognuno e adeguato nella retribuzione e nella sicurezza.
Sognando “Il Lavoro”!
Articolo già pubblicato su Cogitoetvolo.it
by Puella Stulta

Riflessioni sulla felicità

Ogni giorno facciamo delle scelte finalizzate al raggiungimento della felicità. Cos’è la felicità? Il termine felice deriva dal latino con il significato di “colui che genera, che produce frutti”. Oggi è sinonimo di contentezza, soddisfazione, appagamento, serenità, gioia. Tutti la ricercano, non sempre nel posto o nel modo giusto.
Nel 2006 è stato proiettato al cinema il film La ricerca della felicità. A differenza degli altri film di Gabriele Muccino, in questo c'è un padre che resta e decide di sognare per sé e suo figlio, realizzando l'ambizione di desiderare un po' della felicità del titolo. Ma qual è la felicità che Chris cerca? Non è la ricchezza, la carriera professionale, ma la “normalità”, quella che molti di noi diamo per scontata. La “normalità” è smettere di dormire con il figlio nei rifugi per i senzatetto o nei bagni della metropolitana. E quando, dopo aver ottenuto il lavoro, piange di gioia tra tantissime persone normali, è felice non per essere diventato superiore a loro, ma uguale.
La pubblicità e le canzoni ci inviano messaggi di come dovremmo essere o cosa dovremmo avere per essere felici. Spesso però questi messaggi sono legati all’apparire, al consumare, al possedere tante cose, a vivere senza impegno né responsabilità.
Lo slogan di una campagna pubblicitaria per la vendita di case affermava: “Il paradiso esiste…ed è in vendita”. Si può davvero pensare di raggiungere la felicità comprando tante cose o è meglio puntare verso altro?
E che dire della pubblicità di una compagnia aerea: “Accomodatevi nelle nuove poltrone in cuoio e pelle di agnello. Lasciate scendere lo schienale e allungate le gambe. Nessuna linea aerea vi offre tanto comfort. A diecimila metri serviamo il nostro menu da 5 stelle. Preferite champagne o Barolo d’annata? Che piacere viaggiare così, peccato che il tempo voli.”
Anche una recente canzone di successo dei Negrita parla della felicità:
CHE RUMORE FA LA FELICITÀ?
Che rumore fa la felicità?
Come opposti che si attraggono,
come amanti che si abbracciano.
Camminiamo ancora insieme,
sopra il male sopra il bene,
Ma i fiumi si attraversano
e le vette si conquistano.
Corri fino a sentir male
con la gola secca sotto il sole.
Che rumore fa la felicità?
Mentre i sogni si dissolvono
e gli inverni si accavallano
quanti spilli sulla pelle
dentro il petto sulle spalle,
Ma vedo il sole dei tuoi occhi neri
oltre il nero opaco dei miei pensieri
e vivo fino a sentir male
con la gola secca sotto il sole.
Corri amore, corri amore.
Che rumore fa la felicità?
Insieme, la vita lo sai bene
ti viene come viene, ma brucia nelle vene e viverla insieme
è un brivido è una cura
serenità e paura
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme, insieme … a te.
Che rumore fa la felicità?
Due molecole che sbattono
come mosche in un barattolo
con le ali ferme senza vento
bestemmiando al firmamento.
Mentre il senso delle cose muta
ed ogni sicurezza è ormai scaduta
appassisce lentamente
la coscienza della gente.
Che rumore fa la felicità?
Che sapore ha, quando arriverà sopra i cieli grigi delle città
che fingono di essere rifugio per le anime.
Corri fino a sentir male
con la gola secca sotto il sole.
Corri amore, corri amore.
Che rumore fa la felicità?
Insieme, la vita lo sai bene
ti viene come viene, ma brucia nelle vene e viverla insieme
è un brivido è una cura
serenità e paura
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme, insieme … a te.
Dove sei ora?
Come stai ora?
Cosa sei ora?
Cosa sei?
Dove sei ora?
Come sei ora?
Cosa sei ora?
Cosa sei… cosa sei? ma…
Insieme, la vita lo sai bene
ti viene come viene, ma è fuoco nelle vene e viverla insieme
è un brivido è una cura
serenità e paura
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme a te … a te.
Qual è stato il momento più felice della tua vita? Cosa serve per vivere felice? Cosa ostacola la felicità?


Articolo già pubblicato su Cogitoetvolo.it
by PUELLA STULTA

sabato 11 giugno 2011

L'ultimo giorno di scuola: per alcuni è la fine... per altri solo l'inizio

Ebbene si, sembrava ieri che ritornavamo dietro i banchi ed ora è tutto finito...o quasi.
Lasciando perdere i nostri compagni maturandi che,quando voi festeggerete la fine dell'anno loro saranno chini sui libri a studiare, (no dai non siamo stronzi,continuate a leggere e capirete), i rimandati potranno sì sentirsi sollevati dall'inizio delle vacanze, ma non troppo, intenti a recuperare le lacune dell'anno scolastico appena concluso!
Rimandati o no però godiamoci queste meritate vacanze, svegliamoci a mezzogiorno e facciamo colazione con un panino al salame, riempiamo le spiagge, godiamoci questi momenti di assoluta libertà!
Tra una festa e l'altra magari tenete sott'occhio il libro di matematica o di latino, possono essere lunghissime le vacanze ma prima o poi finiscono e si torna a scuola (ok, ora come ora è proprio una cattiveria pensare già all'anno prossimo!).
Maturandi vi siete offesi perchè abbiamo parlato solo di festeggiamenti e di vacanze e voi dovrete affrontare la maturità? Beh considerate il fatto che finito l'esame vi potrete godere le vacanze migliori di sempre, le vacanze più lunghe, le vacanze più spensierate, le vacanze da giovani maturi!

Articolo tratto da Scuolazoo.com

giovedì 2 giugno 2011

L'"invenotre" della globalizzazione? Chiedete a Vasco da Gama

Il periodo storico indicato convenzionalmente come “età delle esplorazioni” è stato sicuramente uno dei momenti più importanti della storia dell’occidente. Comunque lo si voglia valutare, ha aperto l’Europa ad altre culture e ad altre economie, quasi sempre sconosciute fino a quel momento, e ha innescato un lungo confronto che, in forme alterne, giunge fino a oggi. Proprio per questo vale la pena tornare a riflettere, in piena età di “globalizzazione”, come si ama dire oggi, sul momento in cui è iniziato tutto. Per prima cosa, occorre ribadire una cosa nota ma che viene continuamente dimenticata: è il tardo medioevo a sentire il bisogno di spingersi oltre i confini degli spazi conosciuti. Fino almeno al viaggio di Vasco da Gama del 1497-98, gli esploratori furono spinti da ideali e bisogni essenzialmente medievali: la Crociata, il Prete Gianni, le spezie, le Indie, cui vanno aggiunti l’inestinguibile curiosità umana (il veneziano Alvise Cadamosto, che viaggiò lungo le coste africane nel 1455-56, insiste con orgoglio sulla sua volontà di vedere cose mai viste prima da altri suoi compatrioti) e naturalmente la fame di oro.
Un altro luogo comune che andrebbe scardinato una volta per tutte è quello secondo cui gli uomini del medioevo erano convinti che la terra fosse piatta e che Cristoforo Colombo è stato il primo a sostenere il contrario, progettando il suo viaggio proprio sulla base di questa nuova convinzione. Al contrario, gli intellettuali e anche i capitani delle navi sapevano benissimo che la terra è sferica e avevano anche un’idea abbastanza precisa delle sue dimensioni. Solo sulla forma e le dimensioni delle terre emerse non erano informati in modo adeguato: per loro l’ekumene (l’insieme delle terre abitate) era una specie di piccola “calotta” formata da Europa, Asia e Africa settentrionale, circondata da un unico immenso oceano.
Inoltre erano convinti che la fascia a cavallo dell’equatore fosse inabitabile perché qualitativamente diversa dalle due fasce (o “climi”) temperate che si trovavano rispettivamente nell’emisfero nord e in quello sud (le due fasce estreme, attorno ai poli, erano considerate anch’esse inabitabili). Solo agli inizi del Cinquecento, con i viaggi di Vespucci, si entrò in una fase nuova, con la progressiva presa di coscienza che la serie di terre scoperte tra il 1492 e il 1503 (Cuba, Haiti, Antille, Portorico, Venezuela, Terranova, Brasile, Honduras) non andavano concepite come le propaggini orientali dell’Asia (così credeva Colombo) o come una serie di isole sconnesse le une dalle altre ma come un nuovo, immenso continente. Un interessante e significativo sintomo di questo cambiamento di prospettiva è l’oblio in cui cade in quegli anni il nome di Colombo, che non appare praticamente mai nelle discussioni degli intellettuali; per fare un esempio ben noto Raffaele Itlodeo, il protagonista dell’Utopia di Thomas More (pubblicata nel 1516), ha navigato a lungo con Amerigo Vespucci (e non con l’esploratore genovese) prima di scoprire l’isola “che non è in nessun luogo”.
Le esplorazioni dei primi vent’anni del Cinquecento quindi non completano affatto il ciclo dei viaggi quattocenteschi, che semmai trovano il loro completamente logico nell’epopea di da Gama: aprono invece uno spazio del tutto nuovo, mentale prima ancora che geografico, che verrà gradualmente riempito nel corso del secolo successivo, fino ai viaggi dei grandi esploratori olandesi dei primi decenni del XVII secolo. Resta però vero che il passo decisivo, quello che avrebbe permesso tutti gli altri, fu quello che dimostrò la falsità del paradigma epistemologico antico: e furono i portoghesi a compierlo, quando il navigatore Gil Eanes nel 1434 riuscì a superare il temuto capo Bojador, che fino a quel momento aveva rappresentato il punto di non ritorno di tutte le spedizioni. In sé si trattò di un episodio modesto: capo Bojador, situato sulla costa africana a 26°07’ di latitudine nord, non ci appare oggi come un grande ostacolo alla navigazione, a parte i bassifondi che stendono per parecchie miglia al largo.
Lo stesso cronista portoghese Azurara, che raccontò questo episodio qualche decennio dopo, riconosce che si era trattato di un’impresa in sé semplice, ma che all’epoca era apparsa straordinaria proprio perché aveva infranto una serie di tabù che fino a quel momento erano apparsi insuperabili. Il principe Dom Enrique, “sponsor” della spedizione, aveva dovuto ricorrere a lusinghe retoriche e promesse di grandi ricompense per ottenere infine che il suo scudiero Eanes, dopo molti tentativi falliti, riuscisse finalmente ad aggirare dal largo il capo maledetto: una piccola navigazione per un uomo, si potrebbe dire parafrasando le celebri parole di Neil Armstrong al momento di mettere piede sulla Luna, ma un grande passo per l’umanità, per lo meno per quella europea.
Ancora più straordinario però appare a noi il coraggio delle spedizioni successive, che si spinsero avanti lungo una costa assolutamente inospitale che sembrava confermare in pieno le previsioni degli scienziati dell’epoca di un progressivo riscaldamento man mano che si procedeva verso sud. Solo dieci anni dopo le caravelle lusitane raggiunsero il fiume Senegal, scoprendo appunto che la concezione tradizionale era sbagliata: la regione a sud di quel fiume infatti era coperta da alberi d’alto fusto e “popolata da genti in numero infinito”, come avrebbe scritto a suo tempo Cristoforo Colombo in una postilla alla sua copia del libro Imago Mundi del cardinal D’Ailly.
Lo stesso Colombo ragionava ancora in termini profondamente medievali anche se, dal suo punto di vista, progettò un vero e proprio “giro del mondo” per raggiungere il Giappone e poi la Cina attraversando il “mare Oceano” a ovest dell’Europa. Nonostante tutti i suoi calcoli, più o meno manipolati per sostenere il suo progetto di fronte ai finanziatori, la spedizione del 1492 si sarebbe risolta in un fallimento totale se le navi non fossero “inciampate”, per così dire, su un lembo delle attuali isole Bahamas. Dal punto di vista medievale che il navigatore genovese incarnava ancora, quelle terre non potevano non essere che le coste orientali dell’Asia. Capire che le cose non stavano così doveva essere il compito della generazione successiva.

Articolo tratto da IlSussidiario.net

mercoledì 1 giugno 2011

Adesso siamo di Modà

Sono arrivati al secondo posto al Festival di Sanremo, ma nelle classifiche che contano, quelle delle vendite, i Modà sono sfrecciati subito in testa. Il singolo presentato nella manifestazione ligure, Arriverà, in coppia con Emma, e il cd Viva i romantici, hanno bruciato la concorrenza e oggi il quintetto guidato da Francesco “Kekko” Silvestre è al centro dell’attenzione.
 
Tutta un’altra storia rispetto a qualche Sanremo fa, quello del 2005, quando i modàModà parteciparono alla gara canora pieni di speranza per tornarsene a casa con la coda tra le gambe: nessuno che se li filava, a dispetto del loro buon pezzo Riesci a innamorarmi.
 
All’epoca la band era in azione da un anno e aveva appenagettato le basi per costruire la propria carriera. Quel passaggio in negativo al Festival avrebbe potuto spegnerne i sogni, ma il gruppo invece ha incominciato a macinare note, concerti e canzoni.
 
I Modà, così, definiscono il loro suono, un pop rock che acquista sempre più identità disco dopo disco, e non mancano appuntamenti importanti, come l’esibizione allo stadio di Colonia in occasione della “Giornata Mondiale della Gioventù” voluta da Papa Benedetto XVI.
 
L’anno scorso la svolta: i singoli Sono già solo e La notte fanno sfracelli nelle chart, e preparano il terreno per la positiva avventura a Sanremo 2011. Adesso è tempo di raccogliere quanto seminato dal gruppo con l’ottimo Viva i romantici, cd che ha registrato oltre 110 mila prenotazioni prima della sua uscita.
 
Ecco cosa ci ha raccontato Kekko, autore dei brani dei Modà, raggiunto telefonicamente dopo la bella prova del Festival.
 

L’intervista

Soddisfatto del risultato ottenuto a Sanremo?
Senza dubbio, anche se ci sarebbe piaciuto vincere. In ogni caso, il cd sta andando a gonfie vele e, in fondo, è quello che conta: vuol dire che le nostre canzoni piacciono, danno delle emozioni.
 
È anche una piccola rivincita sul Festival del 2005.
All’epoca le cose andarono proprio male. Qualche giorno prima che incominciasse Sanremo, litigammo con la casa discografica, che ci abbandonò al nostro destino. Ci lasciò soli, senza alcun tipo di supporto. Puoi immaginare con quale spirito e spaesamento affrontammo la prova, visto che era il nostro primo appuntamento importante.
 
In quale modo è nata la collaborazione con Emma?
modàTempo fa, in un’intervista, avevo detto che mi sarebbe piaciuto cantare con lei, magari a Sanremo. Emma ci seguiva da parecchi anni, ha letto le mie parole e si è messa in contatto con noi. Ha sentito il pezzo e si è buttata nell’avventura. La sua voce è davvero fantastica e sull’onda dell’entusiasmo abbiamo scritto altri due inediti per il suo cd.
 
Firmi i pezzi del gruppo. Perché non hai seguito la strada da solista?
A dire il vero, è un’ipotesi che non ho mai preso in considerazione. Quando ho incominciato a suonare, ho formato subito una band: è bello avere intorno a sé degli amici e dei bravi musicisti con cui lavorare. D’altra parte, le canzoni sono poi il risultato del contributo dato da tutti.
 
Durante il vostro percorso, gli ostacoli non sono mancati. Come si riesce a non farsi vincere dalla sfiducia?
Facendo leva sulla passione per la musica, mettendoci tanta determinazione e armandosi di una pazienza infinita. Non ti nascondo che abbiamo attraversato fasi difficili: quando nessuno ti conosce, i momenti belli li conti sulle dita di una mano. Abbondano invece le porte chiuse in faccia, i “no” alle tue proposte, le serate in cui non guadagni niente. Non a caso, per diversi periodi, ci siamo arrangiati facendo altri lavori. Abbiamo però tirato dritto, incoraggiandoci a vicenda: l’importanza di essere un gruppo sta anche in questo.
 
In quale misura il web vi ha aiutato a imporvi?
È stato, e rimane, uno strumento importante. In un panorama discografico in cui quasi nessuno investe più su artisti giovani, le finestre aperte nella rete offrono dei buoni canali per farsi conoscere, oggi più di ieri. Noi stessi teniamo un filo diretto con i nostri fan attraverso il sito e i social network.
 
Quale “volto” avete voluto dare al nuovo cd?
Segue una linea di crescita naturale, che ha portato a una maggiore cura nel modàrealizzare i brani, sia nelle musiche che nei testi. Non c’è comunque nessuna grossa rivoluzione: in questi anni, nei tre album passati, abbiamo ben definito il nostro sound, un pop-rock grintoso e melodico, a cui ovviamente cerchiamo ogni volta di aggiungere nuove idee, ma senza snaturarci.
 
Chi sono i romantici del titolo?
In particolare, i miei genitori, ma anche quelli che, come loro, hanno avuto poco dalla vita tra tanti sacrifici. Nonostante le difficoltà, non si sono mai fatti mancare un sorriso.

Articolo tratto da Mondoerre.it

giovedì 26 maggio 2011

The tree of life - Recensione

USA 2011, 138''
Genere: drammatico
Regia di: Terrence Malick
Cast principale: Brad Pitt, Jessica Chastain, Sean Penn, Fiona Shaw, Joanna Going
Tematiche: famiglia, rapporto padre figlio, creazione, vita
Target: da 11 anni
Imperdibile
Jack O'Brian ricorda la sua infanzia trascorsa con la famiglia nel Texas, negli anni '50.

Frutto di un’elaborazione che dura da circa trent’anni, The Tree of Life (L’albero della vita) è l’opera più impegnativa di Terrence Malick, un regista che dai suoi esordi, nel 1973, ha diretto solo cinque film, lasciando trascorrere vent’anni tra il secondo (Il giorni del cielo) e il terzo (La sottile linea rossa), periodo nel quale ha insegnato filosofia all’università ed ha continuato a collezionare idee, immagini e riprese in parte rifluite in quest’ultimo film. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2011 (e accolto non senza perplessità dalla critica), The Tree of Life è un film accompagnato da una grande aspettativa, specie da quanti (e non sono pochi) considerano il regista, per i temi trattati e la profondità con cui li affronta, come un vero maestro, e non solo in senso cinematografico.
Il film affronta la vicenda degli O’Brian, una famiglia texana degli anni ’50, vista attraverso gli occhi e i ricordi di Jack, il figlio maggiore: l’amore per la madre (Jessica Chastain), l’affetto tra Jack e i suoi due fratelli minori, il difficile rapporto con un padre severo (Brad Pitt) che cresce i figli con affetto ma anche con durezza spropositata. Ma la vicenda, oltre a spostarsi temporalmente dal passato al presente, con la figura di Jack adulto (Sean Penn) che silenzioso percorre luoghi affollati e solitari della città e della natura, apparentemente alla ricerca di qualcosa che plachi un interno tormento, si intreccia con una visione di incredibile respiro. Malick inizia il film con una voce esterna che cita la differenza tra lo scegliere di vivere secondo natura o secondo la Grazia, l’istinto o la compassione, una visione materialistica o religiosa della vita. Intanto sullo schermo scorrono impressionanti immagini della Terra e dell’universo, vere o realizzate digitalmente, che accompagnate da memorabili brani di musica classica fanno ripercorrere allo spettatore la creazione del pianeta e dei cieli, della vita in terra e nel mare, in un viaggio cosmico e naturale difficile da descrivere, ma che colpisce e lascia attonito lo spettatore. Questo voluto susseguirsi di visioni della natura si intersecherà ancora più volte con la vita dei coniugi O’Brian, che vediamo crescere il primo figlio, poi all’arrivo degli altri due, in scene di gioia domestica e di felice convivenza dominate dalla sensibilità e dall’amore della madre per i propri figli. L’eco dei ricordi di Jack arriva ai momenti della crescita, quando iniziano i primi confronti col padre, il desiderio di affermare la propria personalità, le prime scelte sbagliate e la ricerca del perdono in chi è stato offeso. Da tutto il film trapela una dimensione trascendente della vita, l’esigenza dell’uomo di ricercare un senso ultimo delle cose, nella realtà e nella trama dei rapporti umani: ogni gesto, anche ostile, ogni manifestazione di affetto, magari incommensurabile come l’amore di una madre, non può – ripete il regista - bastare a se stesso. The Tree of Life è un poema; fatto di immagini, di scene, di racconto, di musica: a volte impetuoso, a volte delicato; non sempre di facile comprensione o fluido nella narrazione, vista anche la complessità delle scelte del regista. Ma, con i colori e pennelli tecnologici che il nostro tempo ci offre, con spirito poetico e impressionante sensibilità Malick tenta di mostrare che la speranza dei rapporti umani è che c’entrino veramente con le stelle.
Palma d'Oro al Festival di Cannes 2011.


Articolo tratto da Sentieridelcinema.it

lunedì 23 maggio 2011

I nati dopo il 1982: generazione Y

"Generazione Y”, così sono chiamati tutti i giovani che usano le ultime tecnologie, e più esattamente, coloro che sono nati dopo 1982.
Ma di che si tratta più esattamente? Si tratta di giovani che, inutile negarlo, sono dipendenti da internet e che sono stati sfamati da tv, cellulari, chat, facebook, e che (dicono gli esperti) non sono abituati ad affrontare le difficoltà sul lavoro, e tantomeno l'incertezza e i licenziamenti. Qualcuno dice che rischiano, e che devono adottare delle contromosse.
Una generazione di ragazzi oramai ventenni che non sono capaci di cavarsela da soli nelle situazioni difficili (così dicono i sociologi) e che, viziati fin dall'infanzia dai genitori, si aspettano che le cose nella vita vengano servite su un piatto d'argento e di avere sempre a disposizione tutte le tecnologie di ultima generazione.
Così la Generazione Y considera garantita la sicurezza del lavoro. E ora che l'economia sta andando male non sa che cosa aspettarsi e come affrontare i tempi difficili della vita aziendale. A differenza della generazione  del 'baby boom' (i quarantenni di oggi) e di quella (i trentenni), alla generazione Y manca il vantaggio del senno di poi…
Un fattore di notevole importanza è che questa generazione non tollera l'incertezza (pur essendo oggi il ventenne medio una persona molto incerta), dato che si tratta di ragazzi che sono cresciuti con la gratificazione immediata e che sono stati abituati ad avere tutto subito! Ed ecco che si vuole subito una risposta a tutto!
Afferma un sociologo inglese: “Più dell'80% ha un telefono cellulare, ma nessuno lo usa per fare telefonate, lo usa solo per mandare messaggi e le aziende che li impiegano si stanno accorgendo che quando devono fare un'intervista non sono in grado di sostenere una normale conversazione, perché sono abituati a vedere apparire le domande sullo schermo del cellulare”.
Scrivo l'articolo e ho ventitrè anni, e devo dire che non mi sento totalmente compreso dai sociologi, non condivido in pieno quello che dicono…Un po' è vero; siamo abituati ad avere tutto e spesso subito, i media influenzano molto il pensiero dei giovani, uniformandoli al pensiero dominante e questo causa incertezze che non di rado si tramutano in paure, ma… non mi sento di appartenere alla “generazioneY”.
Personalmente credo che dobbiamo imparare a promuovere noi stessi, a investire sulla nostra vita ed essere più proattivi nel definire il nostro sviluppo professionale; e, ancora, costruire delle vere amicizie e relazioni che poi sono quelle che dureranno nella vita e che ci serviranno!
Voi di che generazione siete?
Articolo tratto da Cogitoetvolo.it

domenica 1 maggio 2011

I dieci paradisi a rischio da visitare prima che sia troppo tardi

Le Everglades in Florida
Secondo alcuni scienziati, se il riscaldamento globale continuerà la Grande Barriera Corallina scomparirà entro il 2030 e i ghiacciai delle Alpi Svizzere, del monte Kilimanjaro e del Glacier National Park scompariranno in meno di 40 anni. Ma non sono le uniche meraviglie naturali da affrettarsi a visitare prima che sia troppo tardi. Il network americano Msnbc ha stilato una classifica dei dieci paradisi da vedere prima che siano distrutti.
BARRIERA CORALLINA DEL BELIZE – Uno degli ecosistemi corallini più originali al mondo ospita lo squalo balena, razze e lamantini, così come storioni, strombi e aragoste. La barriera corallina del Belize ha però riportato gravi danni nel 1998, con una perdita del 50 per cento dei suoi coralli in molte aree, inclusa gran parte dell’Acropora cervicornis che la rende unica.
BACINO DEL FIUME CONGO – Le foreste tropicali fluviali come quella del bacino del Congo producono il 40% dell’ossigeno mondiale e servono come una fonte vitale di cibo, medicine e minerali. Ma secondo l’Onu, se non si prenderanno misure efficaci fino ai due terzi della foresta, l’ambiente naturale e le sue piante uniche andranno perse entro il 2040.
MAR MORTO – E’ il punto più basso sulla Terra (1.312 piedi sotto il livello del mare) e ha dieci volte più sale dell’acqua marina (al punto che le persone possono galleggiarvi come tappi di sughero), e si ritiene che contenga dei minerali terapeutici. Negli ultimi 40 anni però, il Mar Morto si è ridotto di un terzo e si è abbassato di 80 piedi, pari cioè a 13 pollici l’anno. Tanto che diversi ristoranti e resort che in precedenza si trovavano in riva al mare, si sono venuti a trovare nel mezzo della terraferma fino a un miglio dalla costa.
EVERGLADES – Questa terra umida di 2,5 milioni di acri, situata in Florida, comprende paludi di cipressi, mangrovie e savane di pini. Una schiera di pericoli stanno mettendo a rischio queste fragili aree umide: l’inquinamento dalle fattorie, specie animali invasive e lo sviluppo invadente. Per non menzionare il fatto che il 60 per cento dell’acqua della regione è stata dirottata alle città e alle fattorie vicine.
MADAGASCAR – Oltre l’80% della flora e della fauna del Madagascar non si trova da nessuna altra parte del mondo, grazie a milioni di anni di isolamento nell’Oceano Indiano al largo dell’Africa. Ma se non si farà nulla per salvare la quarta isola più grande al mondo, le sue foreste scompariranno in 35 anni (dalle 120mila miglia quadrate di un tempo si sono già ridotte a 20mila), e con loro gli animali unici al mondo che le abitano.
MALDIVE – La nazione è ricca di barriere coralline e 
pesci a rischio estinzione, come gli enormi Pesce Napoleone, lo squalo leopardo e circa 250 razze giganti. Pochi scienziati conservano però molta speranza per le Maldive, che sono la nazione con l’altitudine sul livello del mare più bassa al mondo. Soprattutto se il riscaldamento globale continuerà a sciogliere le calotte glaciali e alzare i livelli del mare.
I POLI – I fenomeni naturali qui sono unici e suggestivi: iceberg torreggianti, aurore boreali e animali maestosi, come pinguini, orsi polari e balene. Ma il Woods Hole Oceanographic Institute, il gruppo di ricerca non profit sugli oceani più grande a livello mondiale, ha annunciato che l’80% della popolazione del pinguino imperatore dell’Antartico morirà, e che il resto è a rischio estinzione, se il riscaldamento globale continuerà.
RAJASTHAN-RANTHAMBORE – L’area indiana è uno dei posti migliori al mondo per vedere le tigri. La popolazione mondiale di tigri è crollata però a 3.200 unità, la maggior parte delle quali vivono in India. E se non saranno intrapresi sforzi estremi, il grande felino potrebbe essere estinto nell’arco di pochi decenni, e forse addirittura in soli 12 anni.
FORESTA PLUVIALE DI TAHUMANU’ – In quest’area del Perù vivono pappagalli, macachi, e altre creature a rischio estinzione come armadilli giganti, gattopardi, giaguari e lontre. Questa magnifica foresta pluviale nella regione chiamata Madre de Dios ospita alcuni degli ultimi mogani a crescita antica nel Sud America. Ma ora l’abbattimento illegale di alberi sta distruggendo la foresta pluviale.
BACINO DEL FIUME YANGTZE – Le creature esotiche come i panda giganti, la pecora azzurra nana, la neofocena dello Yangtze e le gru siberiane chiamano casa questa regione, insieme a 400 milioni di persone. E’ troppo presto per ora conoscere l’esatto impatto della creazione della massiccia diga Three Gorges da 24 miliardi di dollari, ma in molti, incluso il governo cinese, hanno riconosciuto che la regione del bacino dello Yangtze corre il rischio di perdere la sua unica vita acquatica e animale.

Articolo tratto da IlSussidiario.net