mercoledì 29 settembre 2010

Dall'Inghilterra alla Francia senza né braccia né gambe

MILANO - Philippe Croizon ce l'ha fatta: ha compiuto la sua missione impossibile di attraversare a nuoto i 34 km della Manica nonostante sia privo braccia e gambe.
Croizon, francese 42enne che 16 anni fa perse gli arti in un incidente domestico, si è tuffato in acqua sabato mattina poco dopo le 8 a Folkestone, in Inghilterra. Alle 21,30, dopo 13 ore e mezza interminabili, è riuscito ad attraversare a nuoto il canale toccando terra alle 21.30 sulla costa francese.
Croizon ha imparato a nuotare appena due anni fa. Con l'ausilio di due speciali protesi alle gambe e di un boccaglio è riuscito così a coprire la distanza che divide l'Inghilterra dalla Francia.
L'INCIDENTE DEL 1994 - Il nuotatore rimase vittima di un terribile incidente nel marzo 1994, quando subì diverse scariche elettriche a 20.000 volt mentre smontava un'antenna televisiva sul tetto di casa. Mentre era a letto dopo l'incidente e le amputazioni, 16 anni fa, promise che avrebbe fatto di tutto per tentare l'impresa.
Padre di due figli, Croizon ha fatto concepire e costruire appositamente delle protesi equipaggiate di pinne che sono state fissate a quello che resta delle sue gambe. Con i monconi di braccio non può nuotare ma può aiutarsi a rimanere in equilibrio e non soffrire così il mal di mare. In media procede a meno di 3 km l'ora, contro una media di 4-5 per un nuotatore non handicappato. Ex operaio metalmeccanico, si è allenato fino a 30 ore a settimane per compiere la traversata.
Articolo tratto da Corriere.it

mercoledì 22 settembre 2010

La coppia senza fine

Ieri Sandra Mondaini e Raimondo Vianello hanno finito di morire. Avevano cominciato cinque mesi fa, quando si era esaurito il polo maschile della coppia.

Da quel momento la conclusione era nota: nessuna pila può funzionare con un polo solo. La salute precaria dell`attrice ha accelerato l`opera di ricongiungimento, altrimenti dovremmo concludere che chi sopravvive al proprio coniuge non lo abbia amato davvero. Eppure molti di noi conservano nell`album di famiglia una storia simile. Nel mio c`è una nonna romagnola che comandava il marito a bacchetta ed era così anticonformista nei gesti e autonoma nei giudizi che quando il nonno se ne andò a poco più di sessant`anni, tutti pensarono che per lei sarebbe stato l`inizio di una seconda vita. Invece l`anno dopo lo aveva già raggiunto nel paradiso dei borbottoni. Evidentemente era quell`uomo a trasmetterle l`energia che le serviva per tiranneggiarlo, ma anche per amarlo con una purezza che di rado mi è poi capitato di riscontrare altrove.

Sandra e Raimondo - i veri divi televisivi non possiedono cognomi - hanno recitato a beneficio di un intero popolo la storia autentica dell`Amore Possibile, che non è mai un`emozione violenta e fuggevole, come nelle pubblicità, ma un sentimento lento, difficile, a tratti noioso («che barba che noia!») e però capace di creare una realtà nuova. Il Noi. Occorre fare chiarezza su questo punto, perché il romanticismo deteriore lo ha spolpato di senso. Creare il Noi di una coppia non significa distruggere i due Io che la compongono, annullandoli fino all`abbrutimento. Anzi, il Noi cresce e si fortifica solo in quelle unioni dove le individualità conservano intatta la loro forza. Il Noi non sostituisce gli Io. Li affianca. E` una terza entità autonoma e non va confusa neppure con i figli, tanto è vero che prospera in moltissime coppie sterili: Sandra e Raimondo ne sono una prova.

Gli amici dell`uno o dell`altro osservano il Noi dall`esterno e ne danno quasi sempre un giudizio negativo. Sembra loro che nella fusione i due Io ci abbiano rimesso troppo. Gli estimatori di Hillary Clinton, per esempio, considerano Billary (il Noi) una zeppa messa lì per rallentarle la vita. E quelli di Vianello imputavano a Sandra & Raimondo (il Noi) la mortificazione professionale dell`attore, destinato a diventare il Peter Sellers italiano se l`incontro con una donna che era l`esatto opposto della milanese radical-chic non ne avesse deviato il talento verso i facili denari della televisione berlusconiana. Ma è sbagliato giudicare il prossimo imprestandogli le proprie nevrosi. Se una coppia resiste nel tempo, specie in un tempo come questo governato dal demone della precarietà, significa che ha trovato un equilibrio sano. Ha sublimato le sue emozioni in sentimenti. Lungo le montagne russe della convivenza, quella coppia potrà litigare, tradire. Potrà persino lasciarsi. Ma non troppo a lungo e mai fino al punto di spezzare il cordino invisibile che la tiene insieme: il Noi che le tradizioni spirituali, religiose e no, indicano come il traguardo verso cui tendono naturalmente tutti gli esseri umani. Anche quando lo negano. Perché l`unità di Uomo non è l`uomo. E` la coppia. E nel loro piccolo, che poi tanto piccolo non è, gli sketch di Sandra & Raimondo saranno sempre lì a ricordarcelo.

giovedì 16 settembre 2010

21/12/2012: la fine del mondo??

La profezia dei Maya è una delle tante che si sono accumulate nel corso della storia sulla data della fine del mondo. Sul versante cristiano, della data della fine si è parlato sulla base di alcuni segni presentati dalla Scrittura come preludio e premessa del ritorno di Cristo alla fine dei tempi. I principali segni potrebbero essere ridotti a tre: la predicazione del Vangelo in tutto il mondo, la venuta dell’anticristo e la conversione del popolo ebraico. Però, nessuno di essi ha la capacità di farci prevedere con chiarezza il tempo della fine. Il primo potrebbe essere considerato come già realizzato; Giovanni in una delle sue lettere parla già di molti anticristi presenti al suo tempo; la conversione di Israele è presentata da Paolo non come un segno premonitore, ma come parte dello stesso evento finale.
Difficile da definire con esattezza la natura degli avvenimenti previsti per il 21 dicembre 2012: non è certo, infatti, che l’antica popolazione mesoamericana pensasse a una vera e propria fine del mondo. Si potrebbe anche trattare di una significativa e profonda discontinuità. Comunque, alcuni studiosi della cultura in questione arrivano a considerare l’intera ipotesi come “una completa invenzione e una possibilità per molte persone di fare profitto”. Nessuno certezza, dunque, nemmeno per questa via. Ma per riflettere su queste cose è necessario rivolgersi a incerte e nebulose culture precristiane?


by Puella Stulta

martedì 14 settembre 2010

E' tempo che il mondo esca dal gelo

A nove anni dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 le immagini di quella tragedia sono ancora nei nostri occhi. Restano qualcosa di assurdo.

Il mondo rimase attonito: accadeva qualcosa di troppo grande, quasi impensabile. La prima reazione fu il senso di vuoto che prende davanti a catastrofi di enorme portata. Poi arrivò la giusta risposta: «Siamo tutti americani». Si sviluppò una corrente di solidarietà e simpatia grande verso gli Usa. Lo slogan, accompagnato dalle immagini dell’eroismo dei vigili del fuoco di New York, interpretava un sentimento diffuso di vicinanza ma anche di identificazione con il popolo americano.

Poi si aprì il tempo della risposta armata al terrorismo. C’era un nemico, con ramificate complicità, che voleva distruggere la nostra civiltà. Si diede inizio alla guerra, prima in Afghanistan, quindi in Iraq. A contrastarla ci fu un vasto movimento: manifestazioni per la pace mai viste prima di allora, con 150 milioni di persone scese in piazza in duecento città del mondo. Ma il veleno del disprezzo e dell’odio aveva ormai contagiato il mondo. Forse è quello che i terroristi volevano: una vittoria dell’odio. Lo «scontro di civiltà» sembrò la cifra del millennio appena iniziato, nonostante la voce di Giovanni Paolo II che, in quei momenti di
 spaesamento collettivo, non cessò mai di opporsi alle logiche di guerra e di scontro. Tutti ricordiamo la preghiera per la pace tra le religioni da lui convocata ad Assisi nel gennaio 2002.

Sono passati nove anni difficili. Si è urlato, ci si è combattuti, si sono cercati
 nemici, ma soprattutto si è stati presi dal pessimismo e dall’idea che lo scontro fosse inevitabile. Eppure le guerre avviate non hanno segnato una stagione nuova. L’Iraq si è liberato da un dittatore sanguinario, ma resta preda della violenza e ora lo scenario si fa più incerto con il ritiro delle truppe americane. Anche per i cristiani di quell’area i tempi si sono fatti più difficili, tanto che il loro numero è drammaticamente diminuito. L’Iran si sta imponendo come potenza regionale in forza del suo preoccupante programma nucleare e della forza della Shi’a pur in Paesi a maggioranza sunnita. E l’Afghanistan si dimostra un buco nero della geopolitica, come già molte volte negli ultimi due secoli.

Tuttavia, le conseguenze malate dell’11 settembre sono anche nell’animo dei popoli. La freddezza con cui è trattato oggi il Pakistan, sofferente per le alluvioni, è il frutto di un progressivo allentamento dello spirito di solidarietà internazionale, nella diffidenza e nel distacco. Un discorso simile si può fare per numerose altre aree del mondo.

Oggi, dopo nove anni e, soprattutto, un numero elevatissimo di vittime, è venuto il tempo di superare la logica del nemico e della contrapposizione, recuperando la legalità internazionale, per dedicarsi a sfide più urgenti. Il campanello d’allarme è la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito il mondo, svelando le fragili basi su cui si posa l’architettura internazionale globale. C’è poi una patologia da curare, quella dello spirito di popoli divisi, arrabbiati e confusi, che temono il futuro.

La nuova iniziativa di pace per la soluzione del lunghissimo conflitto tra israeliani e palestinesi, apertasi pochi giorni fa a Washington, sembra essere un segnale di speranza dopo questi tormentati anni segnati dalle tristi conseguenze dell’11 settembre.

Ma, soprattutto, c’è da invertire la logica dello scontro e far prevalere le ragioni dell’incontro e del dialogo, le uniche che possono riaprire una stagione di solidarietà con chi soffre ingiustamente per la spaccatura del mondo lungo i suoi assi cardinali: Nord-Sud, Oriente-Occidente. Una crisi troppo lunga e troppo profonda.



Articolo tratto da Piùvoce.net

Miss Italia 2010 è l'umbra Francesca Testasecca

Miss Italia 2010 è l'umbra Francesca Testasecca, 19 anni. E' stata incoronata da Sofia Loren al termine della finalissima da Salsomaggiore, in diretta su Raiuno, condotta da Milly Carlucci con Emanuele Filiberto. Nel rush finale a due ha battuto la vicentina Giulia Nicole Magro, Miss Veneto, che compirà diciott'anni il 17 ottobre.

Francesca Testasecca, arrivata a Salso con la fascia di Miss Umbria, è nata il primo aprile 1991 a Foligno, dove vive. Alta 1,74, ha capelli neri e occhi azzurri. Appena diplomata all'istituto tecnico turistico, in futuro vuole fare l'assistente di volo, ma vuole iscriversi anche a un corso di recitazione e tra i suoi sogni c'é quello di diventare attrice. Poi, se le capitasse, parteciperebbe pure ad un reality tipo Grande Fratello o la Talpa, ma non l'Isola dei famosi. Legge di solito libri d'amore, che narrano esperienze di vita (le capita anche di scrivere per sfogare le emozioni); è credente, va a messa e non si interessa di politica. La mamma di Francesca, Marina, è impiegata, il papà Claudio é conducente di autobus. Ha un fratello, Nicola, di 24 anni, ed é fidanzata con Samuel, che conosce fin da bambina.

"Mia mamma era più emozionata di me quando mi hanno eletta Miss Umbria, non è riuscita a prender sonno fino alle sei della mattina successiva!", aveva raccontato prima della finalissima. "Da quel momento in poi gli eventi mi hanno travolta, l'emozione è stata fortissima". L'incontro con la Rai è stato improvvisato anche per lei; Francesca ha interpretato una canzone d'amore e ballato la 'baciata', perché ha studiato danze latino americane per un anno e mezzo dopo aver praticato per quattro anni la pallacanestro. Francesca è stata, prima delle finali, compagna di stanza di Alessia Mancini e ha detto di giudicare una vera e propria ingiustizia il fatto che sia stata additata come l'ipotetico trans a Miss Italia. Per quanto riguarda il concorso, secondo la neovincitrice, "l'organizzazione è un po' troppo frenetica e con calma si sarebbe potuto fare meglio". 

Articolo tratto da SiciliaInformazioni.com

lunedì 13 settembre 2010

GP di Misano, tragedia e polemiche: Tomizawa muore e la gara continua

MISANO ADRIATICO 
Un errore, la caduta e poi la tragedia. Shoya Tomizawa, 19enne pilota giapponese, è morto per le gravissime lesioni riportate nel terribile incidente avvenuto nella gara della Moto2 del Gp di San Marino. 

Lo schianto
Sul tracciato di Misano Adriatico, il nipponico ha perso il controllo della sua Suter nel corso del 12° giro. Ha messo le ruote su un cordolo ed è schizzato via mentre viaggiava ad una velocità ampiamente superiore ai 200 km orari. Alle sue spalle, il sammarinese Alex De Angelis e il britannico Scott Redding non hanno avuto il tempo di far nulla. Tomizawa, vincitore quest’anno del Gp del Qatar nella gara inaugurale della nuova classe, è stato investito in pieno e i suoi due colleghi sono volati via. Redding se l’è cavata senza lesioni particolari, De Angelis non ha riportato nemmeno un graffio. 

Le polemiche
Lo sfortunato giapponese è rimasto sull’asfalto, i soccorsi sono intervenuti è la gara è proseguita senza interruzioni fino al successo dello spagnolo Toni Elias. Niente bandiera rossa e niente sospensione, mentre Tomizawa veniva portato lontano dalla pista. Nella concitazione, un addetto è inciampato nella ghiaia della via di fuga e per un istante ha perso la presa della barella. In ambulanza, i medici hanno provato a rianimare il pilota, in condizioni critiche per i traumi al cranio, al torace e alla regione addominale. Dal centro medico del circuito, verso le 13.40, l’ambulanza è ripartita verso l’ospedale di Riccione. Lì, alle 14.19, è stato dichiarato il decesso del giovanissimo centauro. 

I medici: "Lesioni terribili"
La drammatica notizia si è materializzata mentre migliaia di spettatori trepidavano per la gara della classe MotoGp, vinta dallo spagnolo Daniel Pedrosa davanti al connazionale Jorge Lorenzo e a Valentino Rossi. «È stato un incidente terribile con lesioni terribili», ha detto visibilmente commosso il dottor Claudio Costa, responsabile della Clinica Mobile del Motomondiale. «È stato fatto un lavoro egregio al centro medico, in ambulanza e nell’ospedale di Riccione. Poi, Tomizawa ci ha salutato alle 14.19», ha aggiunto. Legittimo chiedersi se l’esposizione della bandiera rossa, con la conseguente sospensione della gara, avrebbe potuto agevolare l’opera dei soccorritori. «Bisognava esporre la bandiera rossa. Nella Moto 2 forse sono un po' troppi», ha detto Rossi. 

Niente bandiera rossa
Claudio Macchiagodena, responsabile medico del circuito, non ha mostrato dubbi. «La bandiera rossa non avrebbe dato nessun vantaggio, dal punto di vista medico non sarebbe cambiato nulla. Anzi, avrebbe provocato un ritardo», ha detto. «La rianimazione è cominciata in ambulanza, dal punto di vista medico non c’è stato alcun ritardo. La bandiera rossa, ripeto, avrebbe comportato un rallentamento». Il paddock deve fare i conti con un’altra tragedia a soli 7 giorni dalla scomparsa di Peter Lenz, il 13enne che domenica scorsa a Indianapolis ha perso la vita in una gara di contorno. La morte di Tomizawa riporta alla mente degli appassionati l’ultimo incidente mortale avvenuto in una gara del Motomondiale. Nel 2003 moriva un altro pilota giapponese, Daijiro Kato. A Misano, invece, la data del 5 settembre è sempre più sinonimo di dramma. Nel 1993, lo statunitense Wayne Rainey è caduto rimanendo paralizzato agli arti inferiori. 

La scheda: chi era Shoya TomizawaIl giapponese era nato a Chiba il 10 dicembre del 1990. Aveva cominciato a correre da bambino e ha esordito nella Classe 125 del motomondiale nel 2006, come wildcard nel Gran Premio casalingo. Ha corso una gara nel 2007, ancora come wildcard. Un’altra nel 2008, nella Classe 250, da wildcard, andando a punti e terminando la stagione al 26esimo posto con 2 punti. In questi anni ha partecipato anche ai campionati giapponesi 125 e 250, ottenendo come miglior risultato il 2* posto in 125 nel 2006 e in 250 nel 2008. Nel 2009 è diventato pilota titolare nel team CIP Moto - GP 250, terminando 17esimo con 32 punti e ottenendo come miglior risultato due decimi posti (Giappone e Comunità Valenciana). In questa stagione è stato costretto a saltare il GP di Indianapolis per infortunio. Nel 2010 passa alla Suter nella nuova classe Moto2, nel team Technomag - CIP, con compagno di squadra Dominique Aegerter, ed entra nella storia della classe vincendo la prima gara in Qatar. Ottiene anche pole position e secondo posto in Spagna più un’altra pole position in Repubblica Ceca. A San Marino il pilota è caduto in piena accelerazione, ed è stato investito in pieno da Scott Redding mentre Alex De Angelis è caduto centrando la sua moto. Tomizawa è morto all'ospedale di Riccione.


Articolo tratto da LaStampa.it

L'estate è andata. Noi, invece, restiamo

Breve elenco non esaustivo dell’estate andata, dedicato a chi ancora si sente sulla pelle sale e abbronzatura. E allora: la colazione del mattino tipo “Cesaroni”, senza fretta, con caffè, latte, succo, pane, burro, marmellata e cornetti; il profumo dell’olio abbronzante, anche se non su di te, che ti sembra che tutto il mondo sappia di cocco; il piacere della doccia dopo il mare e la crema doposole che lenisce l’effetto aragosta; l’anguria, il melone e l’ananas in spiaggia che così non ingrasso; la granita di caffè con panna che una sola al giorno non può far male; le polemiche politiche agostane che non durano il tempo di suddetta granita; i delitti dell’estate e il mostro in prima pagina; i test psicologici sui settimanali da cui risulta un profilo da serial killer che ti corrisponde pericolosamente; i romanzoni da leggere tutti d’un fiato confrontati sbirciando la copertina di quello dei vicini e ti accorgi di essere l’unica senza Stieg Larsson; il caldo che ti toglie il fiato, il primo temporale che ti ha messo il golfino e il meteo consultato come l’oracolo di Delfi; lo zampirone e lo spray antizanzare e la racchetta antizanzare che sembra un gioco della Wii e invece esiste sul serio; i castelli di sabbia dei bambini che in realtà li fanno i papà e si arrabbiano quando il piccino fa cadere la torre merlata; l’immancabile canzone tormentone programmata ossessivamente su ogni stazione radio, non la puoi evitare ma sai che tra quindici giorni non si sentirà più; le campagne contro l’abbandono dei cani e i randagi che attraversano l’autostrada; l’immancabile gossip dei vicini di ombrellone per cui alla fine sai tutto della crudeltà della suocera e della grettezza della cognata ma non sai di chi; le telefonate urlate da chi non fa le ferie per se’, ma per farlo sapere agli altri; i rimpianti di quelli che erano in crociera e sì che era tutta un’altra cosa e quelli che la Sardegna non è più quella di una volta; l’aggiornamento di Facebook pure dalla spiaggia che così magari anche i ladri sanno di potersela prendere con comodo; il cappello di paglia molto cool come quello dell’attrice, comprato nella consapevolezza che non avrai mai il coraggio di portarlo in città; le duecento foto della macchinetta digitale che poi quando le riguardi a casa ti chiedi perché sembrano tutte uguali; i concerti imperdibili e i cinema all’aperto in cui recuperi il filmone perso lungo l’anno e alla fine pensi che se l’avevi perso ci sarà pure stato un perché; le partenze intelligenti e i rientri scaltri che ci consentono di organizzare un torneo di calcetto tra utenti inferociti mentre siamo in coda in autostrada; i vestiti bianchi di lino che in primavera fanno subito estate e che da oggi dormiranno in fondo all’armadio fino a data da destinarsi; la sabbia che ritrovi ovunque anche dopo mesi e non sai se la scrolli via più con fastidio o più con nostalgia; il primo giorno di lavoro e la rassicurante routine, perché quando si torna si è sempre più stanchi di quando si è partiti, eppure non si vede l’ora di ripartire.


Articolo tratto da Piùvoce.net

UNA STORIELLA: Il professore e il barattolo di marmellata


Un professore, in piedi davanti alla sua classe, prese un grosso barattolo vuoto di marmellata e cominciò a riempirlo con dei sassi di circa 3cm di diametro. Una volta fatto chiese agli studenti se il contenitore fosse pieno. Essi risposero affermativamente.
Allora il professore tirò fuori una scatola piena di piselli, li versò dentro il barattolo e lo scosse delicatamente. I piselli naturalmente si infilarono nei vuoti lasciati tra i vari sassi. Ancora una volta il professore chiese agli studenti se il barattolo fosse pieno ed essi, ancora una volta, risposero di sì.
Il professore allora tirò fuori una scatola piena di sabbia e la versò dentro il vasetto. Ovviamente la sabbia riempì ogni spazio vuoto lasciato e coprì tutto. Il professore chiese ancora una volta agli studenti se il barattalo fosse pieno e questa volta essi risposero, senza dubbio alcuno, affermativamente.
A questo punto il professore tirò fuori. Da sotto la scrivania, una bottiglia di vino e ne versò completamente il contenuto dentro il barattolo, inzuppando la sabbia.
Gli studenti si misero a ridere.
“Ora - disse il professore non appena svanirono le risate - voglio che voi capiate che questo vasetto rappresenta la nostra vita. I sassi sono le cose importanti – Dio, la famiglia, gli amici – le cose per le quali se tutto il resto fosse perduto, la vita sarebbe ancora piena.
I piselli sono le altre cose importanti: il lavoro, la casa, i viaggi, il pensiero, le aspirazioni.
La sabbia è tutto il resto … le piccole cose.”
“Se mettete dentro il barattolo per prima la sabbia,” continuò, “non ci sarebbe spazio sufficiente per i piselli e per i sassi. Lo stesso vale per la vita. Se dedichiamo tutto il nostro tempo e la nostra energia alle piccole cose, non avremo spazio sufficiente per le cose veramente importanti”.
Una studentessa allora alzò la mano e chiese al professore che cosa rappresentasse il vino.
Il professore sorrise. “Sono contento che me l'abbia chiesto. Era giusto per dimostrarvi che non importa quanto piena possa essere la nostra vita, perché c'è sempre spazio per una buona bottiglia di vino".

Baciami ancora (film)

Un film di Gabriele Muccino con Stefano Accorsi, Vittoria Puccini, Sabrina Impacciatore, Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Giorgio Pasotti, Marco Cocci, Daniela Piazza, Adriano Giannini, Primo Reggiani, Valeria Bruni Tedeschi. Commedia, drammatico, romantico. 139 minuti. Italia 2009.

Sono trascorsi circa dieci anni da quando Carlo e Giulia si sono sposati, hanno avuto una splendida bambina, Sveva, e poi si sono lasciati, dopo una serie di ripicche e tradimenti reciproci. Ora Carlo fa il quarantenne single e ha difficoltà a legarsi stabilmente con una donna, mentre Giulia vive con la sua bimba a il nuovo compagno Simone, un attore squattrinato, nella casa che allora condivideva con Carlo. Adriano torna da suo lunghissimo viaggio, dopo aver scontato anche due anni di carcere a Cuba, per aver tentato di portare in Italia della cocaina. Ora è intenzionato a recuperare tutto il tempo perduto con il suo figlio, del quale non ha notizie da dieci anni e che vive con la mamma Livia, impegnata sentimentalmente con Paolo...

“Baciami ancora” è il seguito di “L’ultimo bacio” e generalmente i sequel non funzionano al cinema, ma questo sì. In “L’ultimo bacio” era raccontata la paura di crescere di un gruppo di trentenni spaventati dalle responsabilità. Ora ritroviamo i cinque amici dopo dieci anni: quarantenni imperfetti che hanno capito l’importanza di fermarsi piuttosto che fuggire. Ci sono sensi di colpa per ciò che si è sbagliato, ciò che è irrecuperabile, ma anche voglia di migliorarsi, magari di crederci ancora.
Attorno ai bambini, in un modo o nell’altro, ruotano i cinque amici. Carlo, pubblicitario della vita sentimentale senza pace da quando ha lasciato Giulia, non sopporta che la figlia Sveva cresca con un altro. L’insicuro Paolo vorrebbe invece crescere Matteo, che Livia sta tirando su da sola dopo la fuga di Adriano, solo che questi si ripresenta dopo anni, segnato da amare esperienze, sperando in un riavvicinamento col figlio. Ed è un bimbo che non c’è, quello che tanto vorrebbe Veronica senza riuscire ad averlo da Marco, che sta minando il loro matrimonio. Intanto Alberto continua a vivere da sognatore rinfacciando agli altri i loro fallimenti.
Una miscela esplosiva che deflagrerà. Momenti duri, perfino scabrosi, che costringeranno ciascun personaggio a fare scelte estreme. Qualcuno non ce la farà, qualcun altro si risolleverà.
Dialoghi mai banali. Situazioni credibili. Personaggi spesso attraversati da quell’ansia che è il tratto distintivo dei nostri giorni.
by   PUELLA STULTA

domenica 12 settembre 2010

Allarme siam razzisti

Ma allora siamo razzisti anche noi italiani? Noi che abitiamo in un calderone etnico a forma di stivale in cui sono finiti etruschi, celti, cimbri, romani, visigoti, ostrogoti, vandali, alamanni, unni, bizantini, longobardi, arabi, turchi, normanni, francesi, spagnoli, austriaci? Noi che nel calderone, all’alba del boom economico, abbiamo visto un rimescolamento di piemontesi, siciliani, sardi, campani e calabresi?
Ebbene sì, proprio noi, “italiani brava gente”, che non abbiamo capito che il pronome “noi” si accompagna con “gli altri”. Noi preda delle nostre insicurezze, come del resto tutta Europa: la crisi economica, i marocchini che ci rubano il lavoro, gli islamici che hanno 20 mogli e predicano la violenza, gli scippi, gli stupri, i rom, le nuove povertà, l’uomo nero, i pidocchi. Anche noi “italiani brava gente” viviamo nell’impero di Xenofolandia, dove regna la sovrana Paura. La paura che nutre l’intolleranza che, a sua volta, genera il razzismo. Il problema è che al mondo non c’è nulla di più internazionale dell’etnocentrismo di cui il razzismo è il “gemello malvagio” (definizione dello storico George Fredrickson): la sensazione di sentirsi indifesi di fronte all’altro, la paura del nuovo, il vittimismo (un classico della xenofobia).
Il razzismo è una questione di prospettiva. Non si capisce l’ondata di intolleranza se non si parte da qui: i cori negli stadi contro i giocatori neri, il dilagare di ostilità e disprezzo su Internet, il risveglio del demone antisemita, le spedizioni squadristiche contro i gay, le nostalgie di Hitler e l’avanzata in Europa dei movimenti xenofobi.
Gli italiani non sono peggio degli altri, ma non sono neanche meglio. Basti vedere quel che abbiamo combinato con i massacri coloniali di civili al tempo della conquista dell’Impero. Senza mai avere avuto sensi di colpa collettivi, senza mai svegliarci dal mito di “italiani brava gente”.
Il problema è che il razzismo si misura nelle situazioni difficili, nelle crisi, nell’incontro con gli altri. Un po’ come la storiella del “non sono io che sono razzista, sei tu che sei negro”.
A questo punto allora il problema è Balotelli: un italiano che si chiama Mario, sa parlare dialetto bresciano, è un campione di talento indiscutibile che vestirà la maglia della Nazionale. Però ha la pelle nera ed è oggetto degli slogan razzisti più disgustosi. Lui avrebbe diritto di giocare spensieratamente e, invece, è costretto a farsi carico di una cosa così pesante.
Dalla Cina all’America, da che mondo è mondo, è sempre la stessa storia: oltre il cortile c’è lo straniero, il diverso, che può diventare un nemico. E così anche noi italiani… 
 by PUELLA STULTA

Articolo già pubblicato su cogitoetvolo.it