giovedì 16 dicembre 2010

Chi è l'uomo della Sindone?/2

Il fascino di un’immagine e la sua incredibile storia
Le fotografie di Secondo Pia ebbero l’indiscutibile merito di mettere in movimento la macchina delle indagini. Ma dal punto di vista tecnico non erano il massimo e andavano ripetute alla prima occasione con macchine più perfette.
Nell’aprile del 1902, intanto, l’accademico francese Ybes Delage, partendo proprio dagli scatti di Pia, studiò l’immagine dal punto di vista medico. La trovò anatomicamente perfetta ed “esattissima”. Concluse le ricerche riconoscendo nella figura della Sindonel’impronta di un cadavere, con alcuni dettagli che conducevano a un assassinio, con i segni di flagellazione, di un capo incoronato di spine e di una crocifissione. Proprio come tramandato dalla tradizione.
Escluse assolutamente che si trattasse di un dipinto fatto a mano d’uomo. Avanzò anche un’ipotesi personale sulla “stampigliatura” dell’immagine. Per Delage fu prodotta da un fenomeno fisico-chimico, sotto l’azione dell’aloe e dell’olio d’oliva usati per la sepoltura.
Altri medici certificarono la presenza della circolazione sanguigna, dei muscoli e delle ossa.
  
Foto sempre più perfette
33 anni più tardi arrivò , finalmente, una nuova serie di scatti fotografici. Dietro l’obiettivo di piazzò Giuseppe Enrie. L’esperto professionista, il 3  maggio 1931, alle 22,30, impressionò dodici lastre leggermente più piccole di quelle usate da Pia. I negativi confermavano quanto avevano già fatto intuire le foto di Pia.
Nel 1969 il già prezioso dossier della Sindone venne arricchito da fotografie a colori.Autore dei nuovi clic fu Giovanni Battista Judica Cordiglia il quale replicò le riprese nel1973. In quello stesso anno milioni di persone poterono ammirare le immagini del lenzuolo anche in televisione.
Nel 1978, approfittando di tecnologie più sofisticate, il lenzuolo fu nuovamente posto sotto l’occhio magico degli obiettivi. Al termine di cinque giorni e cinque notti di scatti a raffica, si contarono seimila fotografie. Un autentico primato: nessun altro personaggio al mondo poteva, e può, vantare u  repertorio simile.
  
La Sindone a tre dimensioni
Con un materiale così abbondante, gli esperti non potevano desiderare di meglio per approfondire gli esami di laboratori.
Potenti microscopi elettronici scrutarono il tessuto di lino con ingrandimenti spettacolari da 50 a 3500 volte. I medici legali, in questo modo, riuscirono a contare oltre 600 lesioni su tutta la superficie sul corpo martoriato.
Il computer realizzò, da parte sua, un autentico capolavoro. Gli americani Eric Jumper e John Jackson del centro spaziale di Pasadena in California, elaborarono le prime foto tridimensionali (larghezza, altezza e profondità). Con il loro gigantesco IBM/365 ripulirono prima il volto dalla trama del tessuto riportandola alla sua struttura naturale.
Il risultato fu talmente impressionante che i due esperti scrissero: “Per la prima volta nella storia abbiamo potuto osservare, con sorpresa, l’effetto tridimensionale del volto. Abbiamo cercato di ottenere il medesimo effetto con altre fotografie, ma ogni prova è stata inutile”. Mistero!
L’immagine, di colore verdino, si presentava  nell’insieme meno definita di quelle a due dimensioni (altezza e larghezza), ma decisamente più emozionante. Aveva acquistato rilievo e spessore da sembrare quasi vera. E confermò l’ipotesi che quel lenzuolo avesse realmente avvolto un uomo, visto di fronte e di spalle.
La Sindone conquistava un altro punto di credibilità: nessun’altra fotografia era stata mai in grado di dimostrare la presenza di una persona con un determinato volume.
I primi piani fotografici provarono la presenza dei segni inconfondibili di una esecuzione a morte di croce: chiodi, spine, frustate, ferite, grumi di sangue, gonfiori…Corrispondevano allo spietato repertorio di violenza applicata su Gesù di Nazaret.

 Un autentico "falso"?
Le riprese fotografiche, sempre più dettagliate e perfette, si prestavano per una prima risposta alle curiose teorie sulla formazione dell’immagine. La scienza a questo punto avrebbe potuto dire se la Sindone fosse autentica o no.
Una delle voci più diffuse sosteneva che l’immagine del lenzuolo fosse stata dipinta da un artista medioevale. Le pose fotografiche di Secondo Pia, con l’inversione tra positivo e negativo, offrivano una prima precisa smentita. Quale pittore, si trattasse pure di un Leonardo, sarebbe stato capace di imitare gli effetti dei chiaroscuri fotografici molto secoli prima della  loro scoperta?
Non solo. L’immagine, elaborata al computer, appare come adagiata sulla stoffa in maniera uniforme. Una pittura, al contrario, presenterebbe i colpi di pennello, della spatola o della matita dell’artista. Un computer sarebbe perfino in grado di registrare il modo in cui sono stati usati questi strumenti. Nessuno di questi elementi è stato rintracciato sul tessuto sindonico. Neppure sono state rinvenute tracce di colore. L’ipotesi che la Sindone fosse una pittura, e quindi un falso, cadeva immediatamente.
Un’altra estrosa voce attribuiva la formazione dell’immagine al contatto con unastatua rovente. Anche questa spiegazione perdeva consistenza con l’esame della “luce di Wood”. Questo     esperimento, basato sulla fluorescenza, permette di rilevare i segni di qualsiasi bruciatura o effetto di calore. Le uniche tracce di calore provengono dagli incendi che hanno intaccato la stoffa nel famoso incendio di Chambéry del 1532. L’impronta dell’uomo, al contrario, in  nessun punto presenta segni di bruciature o di emanazione di calore. Dunque…

Il tessuto sul banco degli esperti
Rimaneva da affrontare il problema della datazione ella stoffa. Anche in questo caso andava verificata l’ipotesi che il lenzuolo avesse molti anni in meno di quelli necessari per risalire al tempo di Gesù. Se il dato fosse stato vero, l’inchiesta poteva considerarsi chiusa:la Sindone non aveva nulla da spartire con Gesù.
L’unica strada per saperlo era una sola: indagare sul tipo di stoffa e sui materiali presenti nella rete del tessuto.
Il dubbio sull’età appariva legittimo: come poteva  un tessuto di lino durare duemila anni senza ridursi a una ragnatela di tarli e muffe?
Una risposta ineccepibile  veniva da un esemplare ancora più antico, conservato nelMuseo Egizio di Torino, a due passi dal Duomo in cui è custodita la Sindone. Nella tomba dell’architetto Merit è esposto un lenzuolo ben conservato, realizzato 2000 anni prima di Cristo. Il tessuto di lino, trattato con una particolare attenzione, si difende egregiamente dall’usura del tempo.
Anche sulla tecnica di lavorazione del lino, il materiale in cui era stato intessuto il lenzuolo, si trovarono esempi convincenti. Nel 1985 il Museo di Gerusalemme, stabilì che la pianta era coltivata 6000 anni prima di Cristo nell’Antico Egitto, in Siria e nella zona di Gerico, a una quindicina di chilometri da Gerusalemme. Un esperto di tessuti, Virgilio Timossi, scoprì che ai tempi di Gesù esistevano dei telai e circolavano dei pezzi di stoffa prodotti in Egitto con la medesima tecnica.
Questi confronti fecero collezionare punti a favore dell’autenticità del lenzuolo di Torino. Mancavano, però, prove sicure che quel pezzo di stoffa provenisse davvero dalla Palestina e coincidesse come età con quel venerdì del 33 dopo Cristo, giorno in cui sarebbe stato utilizzato.

A caccia di pollini 
Gli addetti ai lavori orientarono la ricerca su un’altra pista. La striscia di stoffa avrebbe dovuto contenere tracce inconfondibili con le quali ricostruire i fatti.
Nel 1969 il Centro internazionale di Sindonologia invitò a Torino uno dei massimi esperti in materia, il criminologo svizzero Max Frei Sulzer. Lo specialista compì la delicatissima operazione del prelievo soltanto nella notte del 23 novembre 1973. Asportò dei campioni da una limitata zona (240 cmq) con nastri adesivi perfettamente sterili.
Il microscopio individuò minerali, fibre, spore di funghi, muffe e agenti inquinanti. Max Frei concentrò la sua attenzione sullo studio dei pollini (piccoli granuli di forma e dimensioni che variano da pianta a pianta).
Immerse in una gelatina queste minuscole particelle (inferiori a un centesimo di millimetro) e le ingrandì tremila volte con un microscopio a scansione elettronica. Identificò59 specie diverse di pollini.
Riconobbe i pollini delle piante dell’Europa centrale. Il dato confermava il passaggio della Sindone in Francia. Altri sconosciuti in Occidente dovevano provenire da territori molto più lontani.
Lo specialista si mise in viaggio per quattro primavere consecutive nelle terre del Mediterraneo orientale, ripercorrendo all’indietro il viaggio compiuto dal reperto.
Nella zona boschiva del Mar Nero ritrovò una pianta conosciuta anche a Costantinopoli, città in cui la Sindone aveva fatto tappa. Nei dintorni del Bosforo riconobbe altri quattro pollini di piante presenti nel tessuto.
In Turchia scovò il polline di un giglio selvatico che cresceva sulle montagne tra Siria e Mesopotamia. I venti lo avrebbero sospinto da quelle alture verso la città di Edessa, altra tappa del lenzuolo.
Era quasi giunto  a due passi dall’ipotizzata terra di origine della Sindone. Si diresse nella regione del Mar Morto e risalì nella valle del Giordano raccogliendo il polline del deserto. L’estenuante ricerca si concluse sulle antiche mura di Gerusalemme. Raccolse gli ultimi campioni di piante, che fiorivano in aprile, il mesi in cui Cristo celebrò la sua ultima Pasqua.
Il lungo giro a ritroso aveva portato Max Frei sui luoghi della Passione di Cristo fornendo le risposte che cercava. I dati delle sue ricerche dimostrarono che sul lenzuolo si erano depositati granuli di polline esistenti in Palestina, Turchia, Francia e Italia, le località in cui la Sindone aveva fatto sosta.
Nel 1954 esaminando a fondo la superficie del volto, il gesuita americano Francis L. Filas di Chicago, notò  un’ombra strana sull’occhio destro. Era stata lasciata da una moneta,esattamente il lepton  che riproduceva un bastone ricurvo circondato dalle lettere greche UCAI, residuo della scritta Tiberio Cairos (= Tiberio Cesare). Al tempo di quell’imperatore, narrano i Vangeli, nacque Gesù.
Gli studiosi pensarono in un primo tempo all’uso antico di seppellire i morti con delle monete sugli occhi. L’altro occhio, però, ne era sprovvisto. Come mai? La risposta arrivò soltanto nel 1996 per merito di Pier Luigi Baima Bollone titolare di Medicina legale all’Università di Torino e del docente di informatica Nello Balossino sulle lastre di Enrie (1931). Anche sull’occhio sinistro, in posizione leggermente più arretrata rispetto al destro, il computer aveva letto la macchia di un altro lepton del sedicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare (il 29 dopo Cristo).
Un tassello in più si inseriva nel mosaico delle prove a favore dell’autenticità della Sindone.

Vero sangue umano?
Andavano ancora esaminate le macchie di sangue. Si trattava di pittura o di sangue vero? Fu l’interrogativo a cui diede una risposta definitiva Baima Bollone.
La notte dell’8 ottobre 1978 sezionò alcune strisce su cui erano visibili della macchie rossastre. Dopo averle esaminate, concluse che quel sangue era vero e che era mescolato ad aloe e mirra, i profumi e gli oli utilizzati nelle antiche sepolture.
Esami successivi precisarono altre importanti caratteristiche: il sangue apparteneva al gruppo AB, una “qualità” piuttosto rara, in dotazione soltanto del 5% della popolazione mondiale. Nell’ottobre  1984 Baima Bollone sbalordì i partecipanti a un congresso sulla Sindone proiettando due diapositive di un globulo rosso, incapsulato in una miscela di mirra e aloe.

C14: un esame andato male
Le indagini finora avevano prodotto numerosi indizi favorevoli, ma nessuna prova schiacciante. Rimaneva sempre aperto il problema dell’età del lenzuolo. Alcuni ricercatori inglesi e americani richiesero la prova del radiocarbonio, detta del C14, in grado di stabilire la famosa datazione. Le autorità religiose accettarono l’esame nonostante il parere contrario di diversi scienziati italiani e stranieri che ritenevano il metodo inaffidabile.
Il 28 aprile 1988 furono sezionati tre piccoli campioni di tessuto da una striscia  di 1 centimetro pere 7. Vennero spediti ai laboratori dell’Università di Tcson (Stati Uniti), di Oxford (Gran Bretagna) e del Politecnico di Zurigo (Svizzera).
Il 13 ottobre il cardinale di Torino, Anastasio Ballestrero, comunicò il referto del C14ai  giornalisti convocati nel centro salesiano Valdocco (Torino). Lesse questa dichiarazione: “L’intervallo di data calibrata, assegnato al tessuto sindonico con livello di confidenza (=affidabilità) del 95%, è tra il 1260 e il 1390 dopo Cristo”.
Dopo anni di analisi e di mezze verità, queste parole ebbero l’effetto amaro di una sentenza-choc.
Divamparono le polemiche e le reazioni più indignate di coloro che si dissociavano dal metodo e dal risultato. Si parlò di un complotto anticattolico, di una trappola organizzata da chi voleva distruggere la devozione per il prezioso lino.
Come mai i laboratori avevano rifiutato la collaborazione di altri scienziati, mentre avevano accettato David Sox, l’autore della Sindone smascherata, da lui definita come “la più grande contraffazione di tutti i tempi”?
I campioni esaminati  erano stati prelevati da uno dei lembi periferici peggio conservati e contaminati da polvere, sudore, cera e fumo, e vicinissimo a un punto bruciato nell’incendio del 1532. Tutti questi particolari falsavano  l’integrità del campione e le analisi e i risultati.
Fu messo sotto accusa il metodo C14, considerato inadatto per la Sindone e inaffidabile dal suo stesso inventore, l’americano Willard Frank Libby.

Articolo tratto da Mondoerre.it

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