giovedì 26 maggio 2011

The tree of life - Recensione

USA 2011, 138''
Genere: drammatico
Regia di: Terrence Malick
Cast principale: Brad Pitt, Jessica Chastain, Sean Penn, Fiona Shaw, Joanna Going
Tematiche: famiglia, rapporto padre figlio, creazione, vita
Target: da 11 anni
Imperdibile
Jack O'Brian ricorda la sua infanzia trascorsa con la famiglia nel Texas, negli anni '50.

Frutto di un’elaborazione che dura da circa trent’anni, The Tree of Life (L’albero della vita) è l’opera più impegnativa di Terrence Malick, un regista che dai suoi esordi, nel 1973, ha diretto solo cinque film, lasciando trascorrere vent’anni tra il secondo (Il giorni del cielo) e il terzo (La sottile linea rossa), periodo nel quale ha insegnato filosofia all’università ed ha continuato a collezionare idee, immagini e riprese in parte rifluite in quest’ultimo film. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2011 (e accolto non senza perplessità dalla critica), The Tree of Life è un film accompagnato da una grande aspettativa, specie da quanti (e non sono pochi) considerano il regista, per i temi trattati e la profondità con cui li affronta, come un vero maestro, e non solo in senso cinematografico.
Il film affronta la vicenda degli O’Brian, una famiglia texana degli anni ’50, vista attraverso gli occhi e i ricordi di Jack, il figlio maggiore: l’amore per la madre (Jessica Chastain), l’affetto tra Jack e i suoi due fratelli minori, il difficile rapporto con un padre severo (Brad Pitt) che cresce i figli con affetto ma anche con durezza spropositata. Ma la vicenda, oltre a spostarsi temporalmente dal passato al presente, con la figura di Jack adulto (Sean Penn) che silenzioso percorre luoghi affollati e solitari della città e della natura, apparentemente alla ricerca di qualcosa che plachi un interno tormento, si intreccia con una visione di incredibile respiro. Malick inizia il film con una voce esterna che cita la differenza tra lo scegliere di vivere secondo natura o secondo la Grazia, l’istinto o la compassione, una visione materialistica o religiosa della vita. Intanto sullo schermo scorrono impressionanti immagini della Terra e dell’universo, vere o realizzate digitalmente, che accompagnate da memorabili brani di musica classica fanno ripercorrere allo spettatore la creazione del pianeta e dei cieli, della vita in terra e nel mare, in un viaggio cosmico e naturale difficile da descrivere, ma che colpisce e lascia attonito lo spettatore. Questo voluto susseguirsi di visioni della natura si intersecherà ancora più volte con la vita dei coniugi O’Brian, che vediamo crescere il primo figlio, poi all’arrivo degli altri due, in scene di gioia domestica e di felice convivenza dominate dalla sensibilità e dall’amore della madre per i propri figli. L’eco dei ricordi di Jack arriva ai momenti della crescita, quando iniziano i primi confronti col padre, il desiderio di affermare la propria personalità, le prime scelte sbagliate e la ricerca del perdono in chi è stato offeso. Da tutto il film trapela una dimensione trascendente della vita, l’esigenza dell’uomo di ricercare un senso ultimo delle cose, nella realtà e nella trama dei rapporti umani: ogni gesto, anche ostile, ogni manifestazione di affetto, magari incommensurabile come l’amore di una madre, non può – ripete il regista - bastare a se stesso. The Tree of Life è un poema; fatto di immagini, di scene, di racconto, di musica: a volte impetuoso, a volte delicato; non sempre di facile comprensione o fluido nella narrazione, vista anche la complessità delle scelte del regista. Ma, con i colori e pennelli tecnologici che il nostro tempo ci offre, con spirito poetico e impressionante sensibilità Malick tenta di mostrare che la speranza dei rapporti umani è che c’entrino veramente con le stelle.
Palma d'Oro al Festival di Cannes 2011.


Articolo tratto da Sentieridelcinema.it

lunedì 23 maggio 2011

I nati dopo il 1982: generazione Y

"Generazione Y”, così sono chiamati tutti i giovani che usano le ultime tecnologie, e più esattamente, coloro che sono nati dopo 1982.
Ma di che si tratta più esattamente? Si tratta di giovani che, inutile negarlo, sono dipendenti da internet e che sono stati sfamati da tv, cellulari, chat, facebook, e che (dicono gli esperti) non sono abituati ad affrontare le difficoltà sul lavoro, e tantomeno l'incertezza e i licenziamenti. Qualcuno dice che rischiano, e che devono adottare delle contromosse.
Una generazione di ragazzi oramai ventenni che non sono capaci di cavarsela da soli nelle situazioni difficili (così dicono i sociologi) e che, viziati fin dall'infanzia dai genitori, si aspettano che le cose nella vita vengano servite su un piatto d'argento e di avere sempre a disposizione tutte le tecnologie di ultima generazione.
Così la Generazione Y considera garantita la sicurezza del lavoro. E ora che l'economia sta andando male non sa che cosa aspettarsi e come affrontare i tempi difficili della vita aziendale. A differenza della generazione  del 'baby boom' (i quarantenni di oggi) e di quella (i trentenni), alla generazione Y manca il vantaggio del senno di poi…
Un fattore di notevole importanza è che questa generazione non tollera l'incertezza (pur essendo oggi il ventenne medio una persona molto incerta), dato che si tratta di ragazzi che sono cresciuti con la gratificazione immediata e che sono stati abituati ad avere tutto subito! Ed ecco che si vuole subito una risposta a tutto!
Afferma un sociologo inglese: “Più dell'80% ha un telefono cellulare, ma nessuno lo usa per fare telefonate, lo usa solo per mandare messaggi e le aziende che li impiegano si stanno accorgendo che quando devono fare un'intervista non sono in grado di sostenere una normale conversazione, perché sono abituati a vedere apparire le domande sullo schermo del cellulare”.
Scrivo l'articolo e ho ventitrè anni, e devo dire che non mi sento totalmente compreso dai sociologi, non condivido in pieno quello che dicono…Un po' è vero; siamo abituati ad avere tutto e spesso subito, i media influenzano molto il pensiero dei giovani, uniformandoli al pensiero dominante e questo causa incertezze che non di rado si tramutano in paure, ma… non mi sento di appartenere alla “generazioneY”.
Personalmente credo che dobbiamo imparare a promuovere noi stessi, a investire sulla nostra vita ed essere più proattivi nel definire il nostro sviluppo professionale; e, ancora, costruire delle vere amicizie e relazioni che poi sono quelle che dureranno nella vita e che ci serviranno!
Voi di che generazione siete?
Articolo tratto da Cogitoetvolo.it

domenica 1 maggio 2011

I dieci paradisi a rischio da visitare prima che sia troppo tardi

Le Everglades in Florida
Secondo alcuni scienziati, se il riscaldamento globale continuerà la Grande Barriera Corallina scomparirà entro il 2030 e i ghiacciai delle Alpi Svizzere, del monte Kilimanjaro e del Glacier National Park scompariranno in meno di 40 anni. Ma non sono le uniche meraviglie naturali da affrettarsi a visitare prima che sia troppo tardi. Il network americano Msnbc ha stilato una classifica dei dieci paradisi da vedere prima che siano distrutti.
BARRIERA CORALLINA DEL BELIZE – Uno degli ecosistemi corallini più originali al mondo ospita lo squalo balena, razze e lamantini, così come storioni, strombi e aragoste. La barriera corallina del Belize ha però riportato gravi danni nel 1998, con una perdita del 50 per cento dei suoi coralli in molte aree, inclusa gran parte dell’Acropora cervicornis che la rende unica.
BACINO DEL FIUME CONGO – Le foreste tropicali fluviali come quella del bacino del Congo producono il 40% dell’ossigeno mondiale e servono come una fonte vitale di cibo, medicine e minerali. Ma secondo l’Onu, se non si prenderanno misure efficaci fino ai due terzi della foresta, l’ambiente naturale e le sue piante uniche andranno perse entro il 2040.
MAR MORTO – E’ il punto più basso sulla Terra (1.312 piedi sotto il livello del mare) e ha dieci volte più sale dell’acqua marina (al punto che le persone possono galleggiarvi come tappi di sughero), e si ritiene che contenga dei minerali terapeutici. Negli ultimi 40 anni però, il Mar Morto si è ridotto di un terzo e si è abbassato di 80 piedi, pari cioè a 13 pollici l’anno. Tanto che diversi ristoranti e resort che in precedenza si trovavano in riva al mare, si sono venuti a trovare nel mezzo della terraferma fino a un miglio dalla costa.
EVERGLADES – Questa terra umida di 2,5 milioni di acri, situata in Florida, comprende paludi di cipressi, mangrovie e savane di pini. Una schiera di pericoli stanno mettendo a rischio queste fragili aree umide: l’inquinamento dalle fattorie, specie animali invasive e lo sviluppo invadente. Per non menzionare il fatto che il 60 per cento dell’acqua della regione è stata dirottata alle città e alle fattorie vicine.
MADAGASCAR – Oltre l’80% della flora e della fauna del Madagascar non si trova da nessuna altra parte del mondo, grazie a milioni di anni di isolamento nell’Oceano Indiano al largo dell’Africa. Ma se non si farà nulla per salvare la quarta isola più grande al mondo, le sue foreste scompariranno in 35 anni (dalle 120mila miglia quadrate di un tempo si sono già ridotte a 20mila), e con loro gli animali unici al mondo che le abitano.
MALDIVE – La nazione è ricca di barriere coralline e 
pesci a rischio estinzione, come gli enormi Pesce Napoleone, lo squalo leopardo e circa 250 razze giganti. Pochi scienziati conservano però molta speranza per le Maldive, che sono la nazione con l’altitudine sul livello del mare più bassa al mondo. Soprattutto se il riscaldamento globale continuerà a sciogliere le calotte glaciali e alzare i livelli del mare.
I POLI – I fenomeni naturali qui sono unici e suggestivi: iceberg torreggianti, aurore boreali e animali maestosi, come pinguini, orsi polari e balene. Ma il Woods Hole Oceanographic Institute, il gruppo di ricerca non profit sugli oceani più grande a livello mondiale, ha annunciato che l’80% della popolazione del pinguino imperatore dell’Antartico morirà, e che il resto è a rischio estinzione, se il riscaldamento globale continuerà.
RAJASTHAN-RANTHAMBORE – L’area indiana è uno dei posti migliori al mondo per vedere le tigri. La popolazione mondiale di tigri è crollata però a 3.200 unità, la maggior parte delle quali vivono in India. E se non saranno intrapresi sforzi estremi, il grande felino potrebbe essere estinto nell’arco di pochi decenni, e forse addirittura in soli 12 anni.
FORESTA PLUVIALE DI TAHUMANU’ – In quest’area del Perù vivono pappagalli, macachi, e altre creature a rischio estinzione come armadilli giganti, gattopardi, giaguari e lontre. Questa magnifica foresta pluviale nella regione chiamata Madre de Dios ospita alcuni degli ultimi mogani a crescita antica nel Sud America. Ma ora l’abbattimento illegale di alberi sta distruggendo la foresta pluviale.
BACINO DEL FIUME YANGTZE – Le creature esotiche come i panda giganti, la pecora azzurra nana, la neofocena dello Yangtze e le gru siberiane chiamano casa questa regione, insieme a 400 milioni di persone. E’ troppo presto per ora conoscere l’esatto impatto della creazione della massiccia diga Three Gorges da 24 miliardi di dollari, ma in molti, incluso il governo cinese, hanno riconosciuto che la regione del bacino dello Yangtze corre il rischio di perdere la sua unica vita acquatica e animale.

Articolo tratto da IlSussidiario.net

Giovanni Paolo II proclamato beato