mercoledì 29 giugno 2011

Informazioni per tutti, cultura per pochi

Comunicare sempre, ovunque, con chiunque: questa sembra essere una delle parole d’ordine della società contemporanea, almeno da quando, verso la metà degli anni Novanta del secolo scorso, si sono affermati nuovi mezzi di comunicazione come la telefonia mobile o internet. Tuttavia, mentre il telefono cellulare è destinato principalmente alla comunicazione privata, internet ha aperto nuove, ampie possibilità anche alla comunicazione collettiva, non ultima quella di carattere culturale. Sempre più frequentemente chi vuole recuperare delle informazioni su un personaggio, un evento o su quant’altro , non consulta un’enciclopedia cartacea, ma accede a internet, digita la parola al centro del proprio interesse in un motore di ricerca, come i famosissimi Google o Yahoo!, e aspetta il risultato. Altrimenti si collega a una delle molte “enciclopedie virtuali” sorte negli ultimi anni – si pensi a Wikipedia – e compie la stessa operazione.
Oggi la maggior parte di noi ragazzi usa la rete per studiare: non solo è molto più semplice da consultare rispetto a una biblioteca, ma inoltre, grazie al “copia e incolla”, facilita l’elaborazione dei testi e velocizza i tempi di studio. I dati numerici degli utenti che frequentano siti come Google sono veramente impressionanti. Proviamo a capire come funzionano questi siti e come gestiscono le loro informazioni.
Un motore di ricerca come Google propone una lista di risultati elaborata secondo una tecnica derivata dalla bibliometria, la disciplina che studia il numero di volte in cui un testo è citato in altri testi della stessa disciplina. All’interno del proprio enorme data-base, Google crea una “classifica” rispetto all’argomento da noi cercato, stabilendo l’importanza di una pagina web sulla base del numero di altre pagine web che rimandano ad essa. La prima in classifica, dunque è la pagina web più “citata” sull’argomento da noi cercato, ma ciò non significa automaticamente che sia anche la più attendibile.
Le enciclopedie virtuali come Wikipedia, invece, si basano sulla collaborazione di utenti anonimi, che possono scrivere o correggere le singoli voci, in base a un’idea collettivistica della cultura, secondo la quale ognuno può mettere a disposizione degli altri il proprio sapere. Come dice l’introduzione: “Wikipedia è liberamente editabile: chiunque può modificare le voci esistenti o crearne di nuove.” Se da un punto di vista ideale ciò è sicuramente encomiabile, da un punto di vista scientifico non dà, tuttavia, alcuna garanzia sulla correttezza delle informazioni.
Al contrario di quanto accadeva in altre epoche, oggi, dunque, ognuno può accedere a una quantità immensa di dati. Ciò che manca a molti, però, è la capacità critica di comprendere se le informazioni ritrovate siano corrette o meno. Nella grande massa di informazioni odierne, di conseguenza, sembra essersi smarrito quello spirito critico di fronte al testo scritto che fu uno dei principali lasciti degli umanisti.
Voi che ne pensate?
Articolo già pubblicato su Cogitoetvolo.it
by Puella Stulta

martedì 21 giugno 2011

Sognando "Il Lavoro"

"L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Sono questi gli articoli 1 e 4 della Costituzione della Repubblica Italiana sul lavoro.
La seconda parte dell’art 4, purtroppo, non è riscontrabile nella realtà: il rapporto ISFOL de 2007 denuncia una situazione in cui i lavori sono sempre meno conformi alle aspettative; scarse sono le prospettive di carriera; quasi il 20% degli occupati ritiene di svolgere mansioni che utilizzano solo parzialmente le sue competenze. Una situazione davvero tragica che è aggravata anche dall’inesistenza di posti pubblici, quelli da sempre più ambiti visto che nel privato non si ha mai la certezza per quanto riguarda la durata dell’impiego e per la relativa retribuzione. A questi aspetti se ne aggiunge un altro: il lavoro “a nero”. Evasione fiscale del datore di lavoro e dell’operaio che, però, si ritrova poi una prospettiva pensionistica davvero incerta (basti pensare che è già incerta per i lavoratori nel pubblico per l’esagerato aumento dell’età pensionistica) e quindi cresce sempre di più la percentuale di chi fa fatica a crearsi una famiglia. Ci sono così i cosiddetti “bamboccioni”, tali per mancanza di lavoro. Dal rapporto ISFOL 2007 emerge anche una discrasia tra domanda e offerta di lavoro. E pensare che nell’antichità il lavoro era disprezzato e affidato agli schiavi! Aristotele, infatti, nella Politica esalta il fatto che i cittadini abbiano tutto il tempo libero “per far nascere la virtù nella loro anima e perché possano adempiere i loro doveri civici”. Un tempo c’erano gli schiavi, oggi gli extra-comunitari fanno i lavori cosiddetti “più umili” e non più adatti all’uomo del terzo millennio: lavorare i campi, ad esempio. Con questa crisi, però, anche lo “spazzacamin che allegro e felice pensieri non ha”, come cantava Mary Poppins, è un lavoro ricercato e apprezzato.
Oltre alla crisi lavorativa si aggiunge anche che non tutti i diritti del lavoratore sono rispettati. Il lavoro è la prestazione di energie da parte di un lavoratore a un datore di lavoro in cambio di una retribuzione, ma questa nel settore privato non è assolutamente adeguata e a volte non c’è. Inoltre, in particolar modo nei lavori manuali, la sicurezza è soltanto un optional: ogni anno mediamente il 6% dei lavoratori italiani è vittima di un infortunio, quasi un milione di episodi, di cui più di 1300 mortali. A causa, ad esempio, delle trasmissioni dei motori delle macchine troppo vecchie, dei ponteggi inadeguati, dell’inutilizzo di caschi e di altre norme di sicurezza. Questo comporta un risparmio per il datore di lavoro in materia di costi e anche un’agevolazione per gli operai che lavorano meglio senza guanti e caschi. Ma implica una percentuale più alta del rischio di incidenti sul lavoro. Fortunatamente, così per dire, la legislazione italiana impone al datore di lavoro l’obbligo dell’assicurazione per meglio garantire agli infortunati il pagamento delle idennità e per salvare l’imprenditore da oneri eccessivi rispetto alla sua potenzialità economica. A tale proposito sono “fortunati” gli operai messi in regola, non quelli “in nero” che addirittura si troveranno tolto il lavoro.
Cosa fare per avere una svolta in meglio nel mondo del lavoro? Il rapporto ISFOL del 2007 indica le iniziativa da intraprendere:
  • Migliorare il rapporto tra domanda e offerta di lavoro
  • Rendere più fluido e trasparente il mercato del lavoro attraverso una conciliazione tra competitività e meriti, ed equità dell’accesso alle opportunità
  • Contrastare il lavoro irregolare.
Da chi devono essere portate e termine queste iniziative? Alcune da noi cittadini italiani e altre da chi ha nelle mani il futuro del paese. Una sinergia fra le due parti potrà vantarsi di aver dato ai cittadini italiani un lavoro adatto alle aspettative di ognuno e adeguato nella retribuzione e nella sicurezza.
Sognando “Il Lavoro”!
Articolo già pubblicato su Cogitoetvolo.it
by Puella Stulta

Riflessioni sulla felicità

Ogni giorno facciamo delle scelte finalizzate al raggiungimento della felicità. Cos’è la felicità? Il termine felice deriva dal latino con il significato di “colui che genera, che produce frutti”. Oggi è sinonimo di contentezza, soddisfazione, appagamento, serenità, gioia. Tutti la ricercano, non sempre nel posto o nel modo giusto.
Nel 2006 è stato proiettato al cinema il film La ricerca della felicità. A differenza degli altri film di Gabriele Muccino, in questo c'è un padre che resta e decide di sognare per sé e suo figlio, realizzando l'ambizione di desiderare un po' della felicità del titolo. Ma qual è la felicità che Chris cerca? Non è la ricchezza, la carriera professionale, ma la “normalità”, quella che molti di noi diamo per scontata. La “normalità” è smettere di dormire con il figlio nei rifugi per i senzatetto o nei bagni della metropolitana. E quando, dopo aver ottenuto il lavoro, piange di gioia tra tantissime persone normali, è felice non per essere diventato superiore a loro, ma uguale.
La pubblicità e le canzoni ci inviano messaggi di come dovremmo essere o cosa dovremmo avere per essere felici. Spesso però questi messaggi sono legati all’apparire, al consumare, al possedere tante cose, a vivere senza impegno né responsabilità.
Lo slogan di una campagna pubblicitaria per la vendita di case affermava: “Il paradiso esiste…ed è in vendita”. Si può davvero pensare di raggiungere la felicità comprando tante cose o è meglio puntare verso altro?
E che dire della pubblicità di una compagnia aerea: “Accomodatevi nelle nuove poltrone in cuoio e pelle di agnello. Lasciate scendere lo schienale e allungate le gambe. Nessuna linea aerea vi offre tanto comfort. A diecimila metri serviamo il nostro menu da 5 stelle. Preferite champagne o Barolo d’annata? Che piacere viaggiare così, peccato che il tempo voli.”
Anche una recente canzone di successo dei Negrita parla della felicità:
CHE RUMORE FA LA FELICITÀ?
Che rumore fa la felicità?
Come opposti che si attraggono,
come amanti che si abbracciano.
Camminiamo ancora insieme,
sopra il male sopra il bene,
Ma i fiumi si attraversano
e le vette si conquistano.
Corri fino a sentir male
con la gola secca sotto il sole.
Che rumore fa la felicità?
Mentre i sogni si dissolvono
e gli inverni si accavallano
quanti spilli sulla pelle
dentro il petto sulle spalle,
Ma vedo il sole dei tuoi occhi neri
oltre il nero opaco dei miei pensieri
e vivo fino a sentir male
con la gola secca sotto il sole.
Corri amore, corri amore.
Che rumore fa la felicità?
Insieme, la vita lo sai bene
ti viene come viene, ma brucia nelle vene e viverla insieme
è un brivido è una cura
serenità e paura
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme, insieme … a te.
Che rumore fa la felicità?
Due molecole che sbattono
come mosche in un barattolo
con le ali ferme senza vento
bestemmiando al firmamento.
Mentre il senso delle cose muta
ed ogni sicurezza è ormai scaduta
appassisce lentamente
la coscienza della gente.
Che rumore fa la felicità?
Che sapore ha, quando arriverà sopra i cieli grigi delle città
che fingono di essere rifugio per le anime.
Corri fino a sentir male
con la gola secca sotto il sole.
Corri amore, corri amore.
Che rumore fa la felicità?
Insieme, la vita lo sai bene
ti viene come viene, ma brucia nelle vene e viverla insieme
è un brivido è una cura
serenità e paura
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme, insieme … a te.
Dove sei ora?
Come stai ora?
Cosa sei ora?
Cosa sei?
Dove sei ora?
Come sei ora?
Cosa sei ora?
Cosa sei… cosa sei? ma…
Insieme, la vita lo sai bene
ti viene come viene, ma è fuoco nelle vene e viverla insieme
è un brivido è una cura
serenità e paura
coraggio ed avventura,
da vivere insieme, insieme, insieme a te … a te.
Qual è stato il momento più felice della tua vita? Cosa serve per vivere felice? Cosa ostacola la felicità?


Articolo già pubblicato su Cogitoetvolo.it
by PUELLA STULTA

sabato 11 giugno 2011

L'ultimo giorno di scuola: per alcuni è la fine... per altri solo l'inizio

Ebbene si, sembrava ieri che ritornavamo dietro i banchi ed ora è tutto finito...o quasi.
Lasciando perdere i nostri compagni maturandi che,quando voi festeggerete la fine dell'anno loro saranno chini sui libri a studiare, (no dai non siamo stronzi,continuate a leggere e capirete), i rimandati potranno sì sentirsi sollevati dall'inizio delle vacanze, ma non troppo, intenti a recuperare le lacune dell'anno scolastico appena concluso!
Rimandati o no però godiamoci queste meritate vacanze, svegliamoci a mezzogiorno e facciamo colazione con un panino al salame, riempiamo le spiagge, godiamoci questi momenti di assoluta libertà!
Tra una festa e l'altra magari tenete sott'occhio il libro di matematica o di latino, possono essere lunghissime le vacanze ma prima o poi finiscono e si torna a scuola (ok, ora come ora è proprio una cattiveria pensare già all'anno prossimo!).
Maturandi vi siete offesi perchè abbiamo parlato solo di festeggiamenti e di vacanze e voi dovrete affrontare la maturità? Beh considerate il fatto che finito l'esame vi potrete godere le vacanze migliori di sempre, le vacanze più lunghe, le vacanze più spensierate, le vacanze da giovani maturi!

Articolo tratto da Scuolazoo.com

giovedì 2 giugno 2011

L'"invenotre" della globalizzazione? Chiedete a Vasco da Gama

Il periodo storico indicato convenzionalmente come “età delle esplorazioni” è stato sicuramente uno dei momenti più importanti della storia dell’occidente. Comunque lo si voglia valutare, ha aperto l’Europa ad altre culture e ad altre economie, quasi sempre sconosciute fino a quel momento, e ha innescato un lungo confronto che, in forme alterne, giunge fino a oggi. Proprio per questo vale la pena tornare a riflettere, in piena età di “globalizzazione”, come si ama dire oggi, sul momento in cui è iniziato tutto. Per prima cosa, occorre ribadire una cosa nota ma che viene continuamente dimenticata: è il tardo medioevo a sentire il bisogno di spingersi oltre i confini degli spazi conosciuti. Fino almeno al viaggio di Vasco da Gama del 1497-98, gli esploratori furono spinti da ideali e bisogni essenzialmente medievali: la Crociata, il Prete Gianni, le spezie, le Indie, cui vanno aggiunti l’inestinguibile curiosità umana (il veneziano Alvise Cadamosto, che viaggiò lungo le coste africane nel 1455-56, insiste con orgoglio sulla sua volontà di vedere cose mai viste prima da altri suoi compatrioti) e naturalmente la fame di oro.
Un altro luogo comune che andrebbe scardinato una volta per tutte è quello secondo cui gli uomini del medioevo erano convinti che la terra fosse piatta e che Cristoforo Colombo è stato il primo a sostenere il contrario, progettando il suo viaggio proprio sulla base di questa nuova convinzione. Al contrario, gli intellettuali e anche i capitani delle navi sapevano benissimo che la terra è sferica e avevano anche un’idea abbastanza precisa delle sue dimensioni. Solo sulla forma e le dimensioni delle terre emerse non erano informati in modo adeguato: per loro l’ekumene (l’insieme delle terre abitate) era una specie di piccola “calotta” formata da Europa, Asia e Africa settentrionale, circondata da un unico immenso oceano.
Inoltre erano convinti che la fascia a cavallo dell’equatore fosse inabitabile perché qualitativamente diversa dalle due fasce (o “climi”) temperate che si trovavano rispettivamente nell’emisfero nord e in quello sud (le due fasce estreme, attorno ai poli, erano considerate anch’esse inabitabili). Solo agli inizi del Cinquecento, con i viaggi di Vespucci, si entrò in una fase nuova, con la progressiva presa di coscienza che la serie di terre scoperte tra il 1492 e il 1503 (Cuba, Haiti, Antille, Portorico, Venezuela, Terranova, Brasile, Honduras) non andavano concepite come le propaggini orientali dell’Asia (così credeva Colombo) o come una serie di isole sconnesse le une dalle altre ma come un nuovo, immenso continente. Un interessante e significativo sintomo di questo cambiamento di prospettiva è l’oblio in cui cade in quegli anni il nome di Colombo, che non appare praticamente mai nelle discussioni degli intellettuali; per fare un esempio ben noto Raffaele Itlodeo, il protagonista dell’Utopia di Thomas More (pubblicata nel 1516), ha navigato a lungo con Amerigo Vespucci (e non con l’esploratore genovese) prima di scoprire l’isola “che non è in nessun luogo”.
Le esplorazioni dei primi vent’anni del Cinquecento quindi non completano affatto il ciclo dei viaggi quattocenteschi, che semmai trovano il loro completamente logico nell’epopea di da Gama: aprono invece uno spazio del tutto nuovo, mentale prima ancora che geografico, che verrà gradualmente riempito nel corso del secolo successivo, fino ai viaggi dei grandi esploratori olandesi dei primi decenni del XVII secolo. Resta però vero che il passo decisivo, quello che avrebbe permesso tutti gli altri, fu quello che dimostrò la falsità del paradigma epistemologico antico: e furono i portoghesi a compierlo, quando il navigatore Gil Eanes nel 1434 riuscì a superare il temuto capo Bojador, che fino a quel momento aveva rappresentato il punto di non ritorno di tutte le spedizioni. In sé si trattò di un episodio modesto: capo Bojador, situato sulla costa africana a 26°07’ di latitudine nord, non ci appare oggi come un grande ostacolo alla navigazione, a parte i bassifondi che stendono per parecchie miglia al largo.
Lo stesso cronista portoghese Azurara, che raccontò questo episodio qualche decennio dopo, riconosce che si era trattato di un’impresa in sé semplice, ma che all’epoca era apparsa straordinaria proprio perché aveva infranto una serie di tabù che fino a quel momento erano apparsi insuperabili. Il principe Dom Enrique, “sponsor” della spedizione, aveva dovuto ricorrere a lusinghe retoriche e promesse di grandi ricompense per ottenere infine che il suo scudiero Eanes, dopo molti tentativi falliti, riuscisse finalmente ad aggirare dal largo il capo maledetto: una piccola navigazione per un uomo, si potrebbe dire parafrasando le celebri parole di Neil Armstrong al momento di mettere piede sulla Luna, ma un grande passo per l’umanità, per lo meno per quella europea.
Ancora più straordinario però appare a noi il coraggio delle spedizioni successive, che si spinsero avanti lungo una costa assolutamente inospitale che sembrava confermare in pieno le previsioni degli scienziati dell’epoca di un progressivo riscaldamento man mano che si procedeva verso sud. Solo dieci anni dopo le caravelle lusitane raggiunsero il fiume Senegal, scoprendo appunto che la concezione tradizionale era sbagliata: la regione a sud di quel fiume infatti era coperta da alberi d’alto fusto e “popolata da genti in numero infinito”, come avrebbe scritto a suo tempo Cristoforo Colombo in una postilla alla sua copia del libro Imago Mundi del cardinal D’Ailly.
Lo stesso Colombo ragionava ancora in termini profondamente medievali anche se, dal suo punto di vista, progettò un vero e proprio “giro del mondo” per raggiungere il Giappone e poi la Cina attraversando il “mare Oceano” a ovest dell’Europa. Nonostante tutti i suoi calcoli, più o meno manipolati per sostenere il suo progetto di fronte ai finanziatori, la spedizione del 1492 si sarebbe risolta in un fallimento totale se le navi non fossero “inciampate”, per così dire, su un lembo delle attuali isole Bahamas. Dal punto di vista medievale che il navigatore genovese incarnava ancora, quelle terre non potevano non essere che le coste orientali dell’Asia. Capire che le cose non stavano così doveva essere il compito della generazione successiva.

Articolo tratto da IlSussidiario.net

mercoledì 1 giugno 2011

Adesso siamo di Modà

Sono arrivati al secondo posto al Festival di Sanremo, ma nelle classifiche che contano, quelle delle vendite, i Modà sono sfrecciati subito in testa. Il singolo presentato nella manifestazione ligure, Arriverà, in coppia con Emma, e il cd Viva i romantici, hanno bruciato la concorrenza e oggi il quintetto guidato da Francesco “Kekko” Silvestre è al centro dell’attenzione.
 
Tutta un’altra storia rispetto a qualche Sanremo fa, quello del 2005, quando i modàModà parteciparono alla gara canora pieni di speranza per tornarsene a casa con la coda tra le gambe: nessuno che se li filava, a dispetto del loro buon pezzo Riesci a innamorarmi.
 
All’epoca la band era in azione da un anno e aveva appenagettato le basi per costruire la propria carriera. Quel passaggio in negativo al Festival avrebbe potuto spegnerne i sogni, ma il gruppo invece ha incominciato a macinare note, concerti e canzoni.
 
I Modà, così, definiscono il loro suono, un pop rock che acquista sempre più identità disco dopo disco, e non mancano appuntamenti importanti, come l’esibizione allo stadio di Colonia in occasione della “Giornata Mondiale della Gioventù” voluta da Papa Benedetto XVI.
 
L’anno scorso la svolta: i singoli Sono già solo e La notte fanno sfracelli nelle chart, e preparano il terreno per la positiva avventura a Sanremo 2011. Adesso è tempo di raccogliere quanto seminato dal gruppo con l’ottimo Viva i romantici, cd che ha registrato oltre 110 mila prenotazioni prima della sua uscita.
 
Ecco cosa ci ha raccontato Kekko, autore dei brani dei Modà, raggiunto telefonicamente dopo la bella prova del Festival.
 

L’intervista

Soddisfatto del risultato ottenuto a Sanremo?
Senza dubbio, anche se ci sarebbe piaciuto vincere. In ogni caso, il cd sta andando a gonfie vele e, in fondo, è quello che conta: vuol dire che le nostre canzoni piacciono, danno delle emozioni.
 
È anche una piccola rivincita sul Festival del 2005.
All’epoca le cose andarono proprio male. Qualche giorno prima che incominciasse Sanremo, litigammo con la casa discografica, che ci abbandonò al nostro destino. Ci lasciò soli, senza alcun tipo di supporto. Puoi immaginare con quale spirito e spaesamento affrontammo la prova, visto che era il nostro primo appuntamento importante.
 
In quale modo è nata la collaborazione con Emma?
modàTempo fa, in un’intervista, avevo detto che mi sarebbe piaciuto cantare con lei, magari a Sanremo. Emma ci seguiva da parecchi anni, ha letto le mie parole e si è messa in contatto con noi. Ha sentito il pezzo e si è buttata nell’avventura. La sua voce è davvero fantastica e sull’onda dell’entusiasmo abbiamo scritto altri due inediti per il suo cd.
 
Firmi i pezzi del gruppo. Perché non hai seguito la strada da solista?
A dire il vero, è un’ipotesi che non ho mai preso in considerazione. Quando ho incominciato a suonare, ho formato subito una band: è bello avere intorno a sé degli amici e dei bravi musicisti con cui lavorare. D’altra parte, le canzoni sono poi il risultato del contributo dato da tutti.
 
Durante il vostro percorso, gli ostacoli non sono mancati. Come si riesce a non farsi vincere dalla sfiducia?
Facendo leva sulla passione per la musica, mettendoci tanta determinazione e armandosi di una pazienza infinita. Non ti nascondo che abbiamo attraversato fasi difficili: quando nessuno ti conosce, i momenti belli li conti sulle dita di una mano. Abbondano invece le porte chiuse in faccia, i “no” alle tue proposte, le serate in cui non guadagni niente. Non a caso, per diversi periodi, ci siamo arrangiati facendo altri lavori. Abbiamo però tirato dritto, incoraggiandoci a vicenda: l’importanza di essere un gruppo sta anche in questo.
 
In quale misura il web vi ha aiutato a imporvi?
È stato, e rimane, uno strumento importante. In un panorama discografico in cui quasi nessuno investe più su artisti giovani, le finestre aperte nella rete offrono dei buoni canali per farsi conoscere, oggi più di ieri. Noi stessi teniamo un filo diretto con i nostri fan attraverso il sito e i social network.
 
Quale “volto” avete voluto dare al nuovo cd?
Segue una linea di crescita naturale, che ha portato a una maggiore cura nel modàrealizzare i brani, sia nelle musiche che nei testi. Non c’è comunque nessuna grossa rivoluzione: in questi anni, nei tre album passati, abbiamo ben definito il nostro sound, un pop-rock grintoso e melodico, a cui ovviamente cerchiamo ogni volta di aggiungere nuove idee, ma senza snaturarci.
 
Chi sono i romantici del titolo?
In particolare, i miei genitori, ma anche quelli che, come loro, hanno avuto poco dalla vita tra tanti sacrifici. Nonostante le difficoltà, non si sono mai fatti mancare un sorriso.

Articolo tratto da Mondoerre.it