mercoledì 15 dicembre 2010

Chi è l'uomo della Sindone?/1

È Lui o  non è Lui – Scattano le immagini
“È Lui o non è Lui” si domandano da secoli milioni di persone guardando l’immagine della Sindone di Torino. Non sono bastati duemila anni di indagini, esperimenti e dibattiti per arrivare a una risposta definitiva. L’uomo che traspare dal lenzuolo ha un riferimento diretto a Cristo? O è opera  di un abilissimo pittore o di un inventore di effetti speciali?
“certo che è Lui” , pensa la stragrande maggioranza della gente. Molti indizi conducono a questa soluzione. “Forse è Lui”, replicano quelli che non sono soddisfatti delle spiegazioni offerte. Nel caso avessero ragione i primi, ci troveremmo di fronte a una straordinaria “fotografia” del Figlio di Dio.
Se così non fosse, non cambierebbe nulla nel campo della fede. La Chiesa, principale interessata allo svelamento di questo mistero, non ha mai forzato la ricerca. E non intende obbligare nessuno a credere, anche nel caso in cui i dubbi venissero azzerati: la fede non può dipendere da un oggetto per quanto prezioso e unico.
La Sindone si presenta come un documento straordinario qualunque sia il verdetto finale della scienza, “l’effige più formidabile che l’umanità abbia desiderato di contemplare” (Filippo Burzio).
Il corpo del reato
L’oggetto “incriminato”, che ha aperto il “caso” più clamoroso degli ultimi cento anni, è un lenzuolo rettangolare di 4,36 metridi lunghezza e 1,10 di larghezza. Dimensioni così ampie si giustificano per l’usanza con cui i defunti erano sepolti in Palestina. Il cadavere, lavato e profumato con oli aromatici, veniva adagiato su una metà del lenzuolo e ricoperto con l’altra parte.
Questo semplice contatto avrebbe impresso sul lungo panno l’impronta completa di un uomo crocifisso e ancora sanguinante, altro un metro e 80.
La stoffa di lino, bianca in origine e ora ingiallita dal tempo, pesa 1.200 grammi. È stata tessuta al telaio e a mano, con una tecnica raffinata e conosciuta in Palestina al tempo di Gesù, detta a “spina di pesce”. I fili di lino sono disposti diagonalmente, come una lisca appunto (un filo di trama sopra e tre sotto).
In diversi punti compaiono tracce di bruciature, macchie di sangue e acqua, righe nere e rammendi che documentano la travagliata storia con cui è giunta fino a noi.
Ne parlano i Vangeli 
Le prime testimonianze di un lenzuolo con queste caratteristiche (anche se a dimostrare la perfetta coincidenza con il nostro) risalgono al racconto della condanna a morte e crocifissione di Gesù Cristo. Porta la firma di un autore al di sopra di ogni sospetto, l’evangelista Matteo.  Così scriveva alcuni anni dopo quei fatti: “Ormai era giunta la sera, quando venne Giuseppe di Arimatèa. Era un uomo ricco, il quale era diventato discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. E Pilato ordinò di lasciarglielo prendere. Allora Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito, e lo mise nella sua tomba, quella che da poco si era fatto preparare per sé, scavata nella reoccia. Poi fece rotolare una grossa pietra davanti all’ingresso della tomba”. (27, 57-60).
In questi stessi termini si espressero altri listi, in particolare Giovanni, testimone oculare degli avvenimenti narrati.
Partendo da queste testimonianze scritte e da quelle contenute nell’immagine è stato facile far coincidere la Sindone con quel lenzuolo. Ed è proprio la correttezza di questo abbinamento che la scienza si è impegnata a verificare.
Una fotografia incredibile 
La prima vera indagine sull’autenticità di quel lenzuolo è partita 100 anni fa a Torino, dal 1578 sede del prezioso documento. Il processo fu innescato, casualmente, da una fotografia inattesa e sorprendente dell’uomo della Sindone.
Alla fine di maggio del 1898, l’avvocato torinese Secondo Pia, appassionato di fotografia, riprese per la prima volta il lenzuolo sindonico, esposto a Torino per celebrare il matrimonio di Vittorio Emanuele III con Elena Petrovich di Montenegro e il 50° anniversario dello Statuto Albertino. Mentre sviluppava le lastre di 50x60 cm, il suo volto scolorì alla pallida luce della camera oscura. Si aspettava, come d’abitudine, un negativo fotografico in cui i neri della realtà appaiono bianchi e viceversa. Dalla lastra, immersa nel bagno di sviluppo, affiorò invece un positivo fotografico. Al contrario di quanto avviene normalmente, presentava i colori esattamente invertiti.
Nasce il caso Sindone
L’Avvocato-fotografo aveva tra le mani la prova, non cercata, che l’immagine della Sindone si presentava come un perfetto negativo (da cui si stampano le copie su carta). In altre parole il lenzuolo si comportava come una gigantesca pellicola fotografica già impressa dalla luce.
Il fenomeno sicuramente strano, scatenò immediatamente curiosità e discussioni. La notizia fece il giro del mondo. I soliti benpensanti accusarono l’incolpevole fotografo di aver truccato le lastre (come se, manomettendole, avesse potuto invertire le immagini!).
Alcuni scienziati, al contrario, fino ad allora fuori da qualsiasi interesse per la Sindone, rimasero folgorati dal “colpo di fortuna” di Secondo Pia. Quel negativo sfidava la loro curiosità e intelligenza: diventava un documento straordinario che poteva svelare il mistero dell’uomo nascosto nell’antico lenzuolo. Con largo anticipo sulla prassi giudiziaria, la fotografia entrava a far parte derl repertorio della polizia scientifica come prezioso strumento di indagini
Nasceva un “caso Sindone”.  La domanda di partenza “È Lui o non è Lui?” rimbalzo dagli studi medici alla sale di informatica, dai laboratori di analisi ai centri di archeologia. Gli specialisti, credenti e laici, iniziarono a vivisezionare ogni millimetro del lenzuolo alla ricerca della prova decisiva.
Quel lavoro va avanti da cento anni in un’altalena di conferme e smentite. Come un’avvincente sceneggiatura ideata e prodotta da un maestro del thrilling.

Articolo tratto da Mondoerre.it

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