domenica 12 settembre 2010

Allarme siam razzisti

Ma allora siamo razzisti anche noi italiani? Noi che abitiamo in un calderone etnico a forma di stivale in cui sono finiti etruschi, celti, cimbri, romani, visigoti, ostrogoti, vandali, alamanni, unni, bizantini, longobardi, arabi, turchi, normanni, francesi, spagnoli, austriaci? Noi che nel calderone, all’alba del boom economico, abbiamo visto un rimescolamento di piemontesi, siciliani, sardi, campani e calabresi?
Ebbene sì, proprio noi, “italiani brava gente”, che non abbiamo capito che il pronome “noi” si accompagna con “gli altri”. Noi preda delle nostre insicurezze, come del resto tutta Europa: la crisi economica, i marocchini che ci rubano il lavoro, gli islamici che hanno 20 mogli e predicano la violenza, gli scippi, gli stupri, i rom, le nuove povertà, l’uomo nero, i pidocchi. Anche noi “italiani brava gente” viviamo nell’impero di Xenofolandia, dove regna la sovrana Paura. La paura che nutre l’intolleranza che, a sua volta, genera il razzismo. Il problema è che al mondo non c’è nulla di più internazionale dell’etnocentrismo di cui il razzismo è il “gemello malvagio” (definizione dello storico George Fredrickson): la sensazione di sentirsi indifesi di fronte all’altro, la paura del nuovo, il vittimismo (un classico della xenofobia).
Il razzismo è una questione di prospettiva. Non si capisce l’ondata di intolleranza se non si parte da qui: i cori negli stadi contro i giocatori neri, il dilagare di ostilità e disprezzo su Internet, il risveglio del demone antisemita, le spedizioni squadristiche contro i gay, le nostalgie di Hitler e l’avanzata in Europa dei movimenti xenofobi.
Gli italiani non sono peggio degli altri, ma non sono neanche meglio. Basti vedere quel che abbiamo combinato con i massacri coloniali di civili al tempo della conquista dell’Impero. Senza mai avere avuto sensi di colpa collettivi, senza mai svegliarci dal mito di “italiani brava gente”.
Il problema è che il razzismo si misura nelle situazioni difficili, nelle crisi, nell’incontro con gli altri. Un po’ come la storiella del “non sono io che sono razzista, sei tu che sei negro”.
A questo punto allora il problema è Balotelli: un italiano che si chiama Mario, sa parlare dialetto bresciano, è un campione di talento indiscutibile che vestirà la maglia della Nazionale. Però ha la pelle nera ed è oggetto degli slogan razzisti più disgustosi. Lui avrebbe diritto di giocare spensieratamente e, invece, è costretto a farsi carico di una cosa così pesante.
Dalla Cina all’America, da che mondo è mondo, è sempre la stessa storia: oltre il cortile c’è lo straniero, il diverso, che può diventare un nemico. E così anche noi italiani… 
 by PUELLA STULTA

Articolo già pubblicato su cogitoetvolo.it

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